Paidéia, come formazione e educazione dell’uomo ma soprattutto capacità di rapportarsi e relazionarsi agli altri per acquisire la conoscenza e costruire il cittadino democratico, pare essere un concetto di strettissima attualità.
Questa parola sarà al centro del Festivalfilosofia 2025 che si svolgerà dal 19 al 21 settembre a Modena, Carpi e Sassuolo.
Ivano Dionigi, presente al Festivalfilosofia 2025, ha scritto un libro: “Magister la scuola la fanno i maestri e non i ministri” (Laterza, 2025), che pone al centro la riscoperta dell’educazione umana e la necessità di coniugare memoria e creatività, passato e futuro.
La scuola forma e permette di maturare una coscienza critica e civile. Sostiene Ivano Dionigi che essa deve permettere di recuperare la facoltà di porre interrogativi e insegnare “a cogliere la profondità della relazione tra le cose”. Certo, un compito arduo, che si traduce nella costruzione della formazione, paidéia, dove centrale è il ruolo del magister (magis, più, superiore in senso qualitativo e teros, comparazione) che dialoga sul modello socratico con gli allievi per l’educazione. Egli è dunque superiore, conta di più ma solo in confronto e relazione con gli altri. Nel sottotitolo del libro il magister è superiore al minister (minus-teros), dunque deve occupare un ruolo inferiore. Ed invece oggi accade che la centralità è occupata dal minister.
Nel volume, Dionigi riconduce le argomentazioni spesso a termini soprattutto latini: “pensiamo al latino”, sostiene Dionigi, “che mi ha insegnato il primato della parola e la centralità del tempo”. È la nostra eredità, per definire concetti e spiegarne le ragioni; del resto è questo il suo modus operandi per cogliere i problemi e proiettarli in una dimensione che sta scomparendo e che invece dovrebbe, come egli fa, ancora costituire occasione di confronto e dialogo, di relazione.
Il punto di partenza sono i tempi attuali, dove prevalgono la doxa e il virtuale sulla verità, ed allora è importante investire in una figura (magister), che a ben vedere è l’intellettuale, variamente declinato, che deve uscire dall’isolamento per far emergere la cultura, l’etica e lo spirito sociale. Dionigi utilizza una espressione agostiniana: clamor cogitationis (il grido del pensiero) che oggi sembra spento o comunque flebile. L’uomo è per natura l’essere che possiede il logos, quel “pensiero che abita la parola” (Aristotele, Politica), che si differenzia dagli animali, dotati di phoné (voce, grido), legato al dolore, piacere. A bene vedere, il grido abbandona il pensiero: così è nelle condizioni attuali di guerra, che confonde il bene e il male, dove sono in crisi i valori etici e culturali che hanno caratterizzato la nostra epoca finora. È il momento, sostiene Dionigi, di “contestare”, nel senso di testimoniare (testari, testis) insieme cum, se c’è ancora la possibilità di verificare l’esistenza del logos, oppure se deve prevalere la phoné, il destino della bestia, dell’elemento animale che ci caratterizza oggi.
L’autore si rivolge ai giovani, non lasciati soli e in balia delle crisi, ma “resi responsabili del loro ruolo nel mondo”, il loro destino futuro. La responsabilità degli adulti, non più magister, è di riuscire a trasmettere memoria e eredità, “punto di congiunzione tra il tramonto e il nuovo giorno”, con la speranza che l’ergon (operato, deposito storico, patrimonio) possa mobilitare la loro creatività (enérgeia). Dionigi elogia quel ruolo della scuola (scholé) che va elevata a paidéia (educazione), perché istituzione civile e formativa che, come famiglia e chiesa, oggi ha perduto la sua “centralità educativa”.
Cosa deve essere la scuola? Il primo elemento da considerare è la “comunità di uguali” e dunque luogo di integrazione dei cittadini; poi è “dialogo” (confronto, incontro, incrocio tra pensieri giovani/adulti) dove il magister svolge una funzione essenziale.
Il senso del lavoro di Dionigi è certamente rivolto al futuro dei giovani, partendo dal passato e rilevando le innumerevoli contraddizioni e squilibri: sociali, ambientali, politici, demografici, dove la tecnica fa perdere il senso della condivisione (cum – munus) che ha sempre caratterizzato il sociale oggi “dematerializzato”, pensiamo alle piattaforme digitali.
Dionigi parla di educazione, che deriva da nutrix, nutrire, tirare su, allevare, istruire; quel “luogo legittimato a formare una molteplice coscienza: linguistica, critica, storica, etica, politica”. La chiave di volta è la scuola formativa, non per acquisire specializzazioni, ma per insegnare a “diventare capaci di imparare”, perché la vita implica di re-imparare continuamente per affrontare il futuro. È la formazione integrale e completa, per “definire uno stato di potenzialità, l’apertura a molteplici possibili” (Cacciari).
La scuola è poi luogo della critica (krisis, esame, giudizio, scelta, confronto), della libertà riconducibile a parrhesìa (libertà d’espressione). C’è poi l’etica della responsabilità (Weber), in una dimensione comunitaria, civile, volta al bene comune.
La scuola ha un compito decisivo: formare i cittadini digitali consapevoli, perché l’esigenza oggi è di “portare il mondo dentro la scuola”, quella scuola degli studenti dove coabitino latino e informatica, per aumentare, accrescere, aggiungere, avendo consapevolezza delle sfide della tecnologia. Essa è palestra del sapere, che nobilita le coscienze e la vita dei giovani, il più prezioso “capitale umano”. Il classico a contatto con lo scientifico è stato il tentativo di definire la composizione delle culture, dei saperi, ponendo in connessione svariate discipline.
Nel volume ci sono continui riferimenti a Socrate, Aristotele, Agostino, Seneca, Montaigne, Benjamin, Steiner e tanti altri pensatori che si sono occupati di definire il ruolo dell’educazione dei giovani nelle varie epoche. Ci sono capitoli sull’ars discendi e ars docenti e i fondamenti della funzione di magister, che fa sviluppare il sapere attraverso le tre “i”, le tre parole d’ordine: interrogare, intelligere, invenire.
La possibilità di interrogare è un chiedersi: “chi sei?” (socratico), passando per i classici Seneca e Agostino, senza trascurare l’evoluzione del pensiero e lo sviluppo della conoscenza. Il secondo interrogativo riguarda il rapporto bene/male, dove assume un ruolo centrale l’homo che deriva da humus, terra, dunque il suo legame terreno sulle possibili influenze della provvidenza. Diventa centrale un approccio etico che viene definito nell’ambito delle differenti posizioni che si declinano nell’ulteriore interrogativo: “si può essere felici?”. E da lì altre disquisizioni sul concetto di morte e mortale. Platone, Agostino, Seneca tra gli altri, per giungere a Cacciari che nella visione heideggeriana rende autentica la vita, perché vive “con-in-noi”.
La seconda parola d’ordine è intelligere, come cogliere la profondità, il dentro delle cose e la relazione, il rapporto tra le cose. Confine, limite (finis), ideale e reale; il télos (fine, scopo) che si associa a natura e logos, ma anche provvidenza (prònoia), necessità (anànche), fato (heimarmene). Poi c’è fine, nel senso di morte: i tre significati di finis si tengono insieme e si realizzano in armonia. Ciò accade al tempo di natura. Ora le cose cambiano e si sovvertono e siamo disposti a delegittimare il termine finis. Intelligere prevede poi l’inter, laddove il finis era intus. Tanti sono gli esempi per definire la prevaricazione della condizione relazionale, specie nell’era attuale.
Infine, la parola invenire, che realizza il passaggio dal notum al novum, passato e memoria e futuro, innovazione creativa. Dionigi si sofferma molto sul concetto di eredità, con i classici che insegnano “a riconoscere il volto delle parole”. Tempo e continuum segnano un processo che porta alla negazione della verità (tradere il notum), la tradizione che è il patrimonio più prezioso. I romani hanno costituito la matrice originaria e il modello culturale occidentale ed europeo, imparando a ricevere, trasmettere e assimilare ciò che è estraneo. Seneca sosteneva che il comportamento umano doveva fondarsi su un principio indissolubile: “Sono un uomo, e nulla di ciò che è umano considero estraneo”. Gli uomini si devono sostenere appoggiandosi gli uni agli altri, altrimenti la società rischia di cadere. È la politica, la res pubblica, la res populi, che realizza l’unione di un gruppo sociale, che si tiene insieme.
L’ultimo passaggio è l’avvento del novum, che deve proiettarsi verso il futuro attraverso il dialogo, come confronto per incrociare dia (attraverso) la parola e la ragione (logos) dell’altro. Un dialogo che è il nostro destino. Dionigi non disdegna di occuparsi di tecnologia e intelligenza artificiale: di fronte a ciò che accade c’è solo da capire (intelligere). Al nostro ingenium curiosam sono affidati ricerca e progresso.
Il monito finale è all’uomo del futuro che deve essere curioso ma saldo nelle sue idee, che non si tiri indietro ma affronti la politica perché la sua vita è legata agli altri.
Il libro rappresenta il percorso personale di Dionigi, che tracciando la sua vita mostra esempi di come si possa avere una scuola e un insegnamento di qualità per il futuro dei giovani.
La sua vita a contatto con la cultura si dipana tra una paidéia che si definisce prima nell’acquisizione di conoscenze ed in seguito nell’elargizione delle stesse attraverso il logos, condividendo il “compiuto della vita”. La conoscenza è legata ai classici che rappresentano ancora un grande insegnamento (memoria) nella vita di tutti per condurre verso quel novum che è la continua sfida dell’uomo nell’evoluzione dei tempi.
Ottimo commento/recensione ad un lavoro straordinario.(adr)