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Ha scritto Vittorio Lingiardi (Cosa dicono quei corpi, La Repubblica, 13 agosto 2024) che le ultime Olimpiadi di Parigi sono state guardate più per i corpi olimpici che per quelli olimpionici, ovvero lo spettacolo fisico piuttosto che quello della sfida, lasciandoci attrarre dalle “varietà e dalle diverse meraviglie dei corpi”. Questo fatto è importante perché si è passati ai corpi disciplinati, con marcatori estetici che ci parlano; sembra che siamo stati catturati, sostiene, da “schegge di mitologia per una psicologia archetipica”.

Queste riflessioni mi fanno considerare quello che rappresenta il corpo nelle nostre società, partendo dalla rappresentazione dell’antichità che lo individuava quasi come elemento dotato “di un che di divino e di perpetuo allo stesso tempo”. (R. Cipriani, Per una sociologia del corpo, https://www.ciprianiroberto.it/wp-content/uploads/2020/).

Goethe nella “lettera ad Herder” del 1771 affermava: “Apollo del Belvedere, perché ti mostri a noi in tutta la tua nudità, facendoci vergognare della nostra?”. Con ciò intendeva quasi manifestare la nostalgia di un mondo privo di turbamenti dove la bellezza dei corpi, virili maschili e aggraziati femminili, era la regola dell’età greca classica, in cui le statue costituivano l’incarnazione dell’equilibrio tra prestanza fisica e controllo delle passioni.

Altro esempio è il “Doriforo di Policleto”, la rappresentazione ideale del corpo del guerriero (koùros) inaugurata fin dall’VIII secolo. Sfoggia la sola potenza del corpo secondo un’estetica omoerotica e sembra ignorare chi li contempla, dunque l’ambito relazionale. Pare invulnerabile, una statua virile che tuttavia non contempla il sesso ma solo i muscoli in un corpo rigoroso: c’è un controllo, la bellezza, la compostezza.

Il koùros è il corpo aristocratico nel senso di perfezione, oggetto esterno allo spettatore. Con l’arte classica lo spettatore si identifica con il corpo rappresentato e imita i gesti e le pose che potrebbe adottare nella vita quotidiana (processo di identificazione).

Con il passar del tempo i corpi diventano il riflesso della società che li ha prodotti e li espone: imitano il mondo reale e le statue permettono alle persone di vedervi la proiezione della parte migliore di se stessi.

Nell’antica Grecia ci sono corpi vestiti nell’agorà che esprimono le qualità attraverso le iscrizioni; poi ci sono i corpi nudi nelle performance fisiche: la città (polis) in tal modo controlla i corpi e li mette in competizione gli uni con gli altri, una competizione simbolica (scultura), una competizione fisica con i concorsi (di bellezza o in occasione delle gare). (M. Barbanera, a cura di, Figure del corpo nel mondo antico, Aguaplano, 2018)

L’attenzione al corpo è strumento di autodeterminazione. Già 60.000 anni prima di Cristo, in Australia, gli aborigeni dipingevano la propria pelle, prima e durante i riti propiziatori.

Per chiedersi il motivo di tutto ciò, si deve scomodare la consapevolezza umana di sé: una volta stabilitasi in comunità, l’umanità ha avuto modo di interrogarsi su se stessa e sul rapporto (fisico e non) con l’ambiente che la circondava; ecco quindi che l’arte di apporre segni e disegni diviene un modo per l’essere umano di distinguersi dagli altri esseri viventi con i quali entra in contatto.

La società ellenica prevedeva un corpo oggetto di culto. L’uomo greco doveva saper equilibrare i due aspetti della vita: la forza fisica, la prestanza, l’abilità nei giochi e nel combattimento andavano integrati con lo studio, la lettura e l’accrescimento del sapere. Bellezza e intelligenza, forza e astuzia: erano questi ecco i quattro cardini fondamentali per essere rispettabile.

Gli eroi sono descritti e rappresentati con fisici statuari, muscoli definiti, alti prestanti e forti, in un vero e proprio culto del bello. Le Olimpiadi sono la massima rappresentazione del mito del corpo, eventi attesi tanto dalla popolazione quanto dagli atleti che nella loro esibizione nuda facevano emergere il fisico statuario, la prova del duro allenamento.

I giochi e i combattimenti divennero presto la forma di svago più diffusa: ci si allenava fra ragazzi, in famiglia, negli accampamenti militari: ogni evento era una buona scusa per organizzarli.
Gli allenamenti erano altresì ideati per preparare i ragazzi alla vita che li aspettava: il tiro con l’arco, la corsa, la lotta insegnavano loro l’arte della guerra e li irrobustivano temprando corpo e anima.
Quella greca è stata una società nella quale il corpo era rispettato come specchio di ciò che un individuo portava nel cuore. (H. Juvin, L’avènement du corps, Gallimard, 2006)

In seguito, il corpo subisce una serie di contraddizioni. Con il collegamento fra desiderio sessuale e peccato originale, la fisicità venne ritenuta una dimensione da rifiutare, da nascondere per non cadere nella frivolezza e nella superficialità. Fu solo nell’alto medioevo che tale concetto venne revisionato: il corpo divenne una delle espressioni dei doni che dio ha dato all’uomo, un tempio dell’amore di Dio per l’uomo, che va rispettato, curato e protetto.

Il corpo nella cultura occidentale emerge verso la fine dell’ottocento, quando i processi di modernizzazione avevano comportato una lenta modificazione del rapporto degli individui con la diffusione del modello estetico della magrezza. Nelle case borghesi, inizia ad utilizzarsi lo specchio, fino ad allora privilegio esclusivo delle classi agiate. Qui era finalmente possibile contemplare, nel segreto della propria stanza da bagno, il corpo sbarazzato di tutti quegli accessori attraverso i quali avveniva la cura dell’immagine di sé.

Le pratiche di cura divengono espressione del desiderio di apparire: le donne iniziano a privilegiare il modello del corpo filiforme, anche se nelle comunità rurali non vi era interesse alla cura del corpo, e continuava a prevalere il modello femminile fondato sull’abbondanza e la fertilità.

Mentre all’uomo era richiesto un corpo robusto ed efficiente, adeguato al lavoro, la donna doveva avere un corpo che “rappresentasse” le qualità femminili da far emergere nel rapporto con l’uomo. Era vincolata alla propria immagine e ad una identità femminile valorizzata attraverso il corpo.

Il riconoscimento di questa identità, che si esprime attraverso l’immagine visibile del corpo, storicamente è riconosciuto attraverso lo sguardo maschile, il quale ne valorizza il ruolo all’interno del nucleo familiare e della funzione riproduttiva, mentre lo spazio interno di questo corpo continuerà ad essere pensato come abitato da una natura indomita, controllabile e contenibile solo attraverso la maternità.

Nel novecento, il mito del corpo umano trova la massima espressione nei totalitarismi. Il fascismo di Mussolini, riprendendo molti dei concetti sociali della Roma antica, ripristinò i giochi e la sportività come mezzo di condivisione e unione sociale. Lo sport era preparazione e continuazione alla guerra nella vita reale. (A. Corbin, J.J. Courtine, G. Vigarello, Histoire du corps, 3 voll., Seuil, Paris, 2006)

Solo più tardi si considerano gli aspetti sociali. Partendo dal fatto che gli umani, coscientemente o incoscientemente, mandano e ricevono segnali non verbali tutto il tempo, il linguaggio del corpo è parte della comunicazione non verbale, in cui i comportamenti fisici vengono utilizzati per esprimere o trasmettere informazioni: le espressioni facciali, la postura del corpo, i gesti, il movimento degli occhi, il tatto e l’uso dello spazio.

Sebbene questa forma di linguaggio sia una parte importante della comunicazione, la maggior parte di essa avviene in modo inconsapevole, anche perché non ha un significato assoluto corrispondente a un certo movimento, quindi non è una lingua, ma viene semplicemente definito dalla cultura di appartenenza che si sofferma sulle interazioni trasmesse durante le relazioni tra persone.

Oggi, la vita quotidiana è oramai assuefatta da riferimenti ad un corpo ideale: i social media, la televisione, la pubblicità, perfino i romanzi raccontano di un’ideale di bellezza impeccabile, a tratti irraggiungibile. Il mito della bellezza diventa predominante: modificazioni corporee “lievi” come piercing e tatuaggi; l’attività fisica giornaliera altamente diffusa; modelle/i seguono la moda che cambia.

Nei suoi Scritti (Abscondita Edizioni, 2016), Alberto Giacometti sostiene che il corpo è un sistema organico affascinante e in parte misterioso. Quando riproduce la figura umana, prende in considerazione elementi legati alla varietà delle sue forme e delle proporzioni, ai tratti somatici e alla fisionomia, agli atteggiamenti e gestualità che oltrepassano il valore espressivo e simbolico del soggetto rappresentato.

Ma accanto all’influenza dei movimenti innovatori, la società attraversa anche un cambiamento legato alla tecnologizzazione: l’attenzione sarà esasperata con l’esplodere di nuove tecnologie d’intervento sul corpo, che offrono alle istituzioni gli strumenti per ottenere nuove possibilità di controllo, ed agli individui nuove risorse per raggiungere il piacere e l’accettazione sociale.

Le tecnologie permettono di superare il limite imposto dalla natura: si può intervenire sulla realtà modificandola, così da potere imporre la propria immagine del corpo, permettendosi di accedere all’immagine che più ci piace. La tendenza è di riprodurre quei modelli socialmente accettati e condivisi, identificati con gli idoli dello spettacolo. Il corpo “artificiale” è plasmato e modificato secondo gli stereotipi sociali. (A. Romeo, Sociologia del corpo, Mondadori, 2018; P. Borgna, Sociologia del corpo, Laterza, 2014; D. Le Breton, La sociologie du corps, Que sais-je ?; 11° edizione, 2023)

Il corpo nella sociologia ha rappresentato a lungo una sorta di assenza, anche se era presente in quanto elemento sotterraneo alla base di tutti i processi sociali.

È la ricerca antropologica, al contrario, che ha considerato il corpo come un oggetto d’analisi: Marcel Mauss, ad esempio, parlava di tecniche del corpo per indicare i modi in cui gli uomini delle diverse società si uniformavano alla loro tradizione. Il corpo varia secondo le caratteristiche strutturali della società. Mary Douglas considerò il tema del corpo come simbolismo sociale, affermando che è il modo di fare esperienza del corpo fisico per riprodurre i poteri e i pericoli della società.

Sarebbero i fattori socioculturali a promuovere un determinato utilizzo del corpo e di un suo significato simbolico. (E. Pozzi, Per una sociologia del corpo, “Il Corpo” – I, 2, marzo 1994, http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/corpo/pozzi.pdf)

Per Bourdieu, il corpo è una forma di potere che si esercita senza costrizione fisica, realizzando il principio di “individuazione”, che localizza l’individuo nel tempo e nello spazio, e di “collettivizzazione”, che inserisce il soggetto nell’ambiente esterno in quanto habitus.

In conclusione, è interessante riferirsi ad alcuni aspetti tematici per analizzare il rapporto corpo/società, considerando che non basta solo una prospettiva d’impostazione culturalista (Georg Simmel, Marcel Mauss e poi Mary Douglas), ma una sociologia del corpo che consideri la socio-somatica e le tante componenti interdisciplinari, oltre che gli altri ambiti delle scienze biomediche.

Rileggere i paradigmi scientifici significa riferirsi a situazioni che si occupano della costruzione dei modelli corporei normativi. Viviamo in un momento storico in cui diventa importante certamente approfondire sia i mutamenti che l’impatto che hanno avuto questi argomenti non solo sulla società, ma sulla scienza sociale e sul modo in cui gli studiosi se ne stanno occupando. (R. Cipriani, Per una sociologia del corpo, cit.; H. Juvin, L’avènement du corps, cit.)

Tra i campi più fecondi della ricerca è essenziale individuare lo sport che svolge un ruolo importante dal punto di vista educativo, se praticato fin dai primi anni di vita. Lo sport deve poi trasmettere alla persona il rispetto dell’altro, non una semplice gara e competizione, ma guardare allo sport come momento ludico di aggregazione, che riesce a fondare i valori dello “stare insieme anche se giocando”. Si guarda alla bellezza non solo estetica ma comportamentale e valoriale, per formare nuove generazioni di uomini e donne in cui lo sport sia parte della cultura dell’educazione.

C’è poi da riscontare le nuove funzioni prevalenti. Viviamo in una società che espone ogni giorno alla visione di alcuni modelli: se pensiamo alla cosmesi, oggi questo mercato riguarda il consumo tanto maschile quanto femminile, e dunque un’attenzione alla moda e all’estetica che la pubblicità ha contribuito ad incrementare.

Ci sono infine, le tecnologie e l’impatto che il web e i Social hanno determinato creando un “palcoscenico personale” per la nostra società, uno spazio privilegiato dove il privato cittadino si mette in scena alla pari di una star riconosciuta. Ciò significa che l’utilizzo dei Social è un modo non solo per far conoscere le proprie attività ed esperienze di vita, ma anche una cura e un’attenzione al corpo che sfrutta finzioni (filtri) per rendere la propria estetica perfetta, limitandone i difetti.

Le funzioni del corpo sono dunque in continua evoluzione: si passa dal privato all’esibizione pubblica esasperata, si scommette sulla capacità della bellezza fisica che soppianta i contenuti culturali (intelligenza creativa) della persona.

Probabilmente anche questo rappresenta l’essere complesso di ogni individuo nel mondo attuale e futuro, dove “l’etica del bene comune è stata trasformata nell’estetica del consenso”?. (Filippo Ceccarelli, Selfie, video e meme. La deriva dei politici diventati influencer, La Repubblica, 7 marzo 2025)

 

 

 

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  Categoria: Società

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