Domenica 25 maggio alle ore 18:00, il Polo Museale “G. Stifano” di Moio della Civitella organizza un dibattito intorno al libro:
Luigi Leuzzi: “Il Cilento che resta tra identità e cambiamento”.
La serata, che rientra tra le iniziative del maggio culturale volute dalla Direttrice del Polo Museale Giuseppina Del Giudice, vedrà la presenza di Vincenzo Merola (moderatore) e dei relatori: Luigi Leuzzi (psichiatra, psicoterapeuta e studioso di mito-archeologia, oltre che autore del volume), Leonardo Guzzo (giornalista e scrittore), Giuseppe Palladino (storico), Gerardo Russo (giornalista).
Luoghi e radici, ed in particolare la loro anima, storia e memoria, identità e comunità, tra antropologia, mito-archeologia e resilienza, tutto ciò è il restare di Luigi Leuzzi, che comporta certamente uno sguardo appassionato alla cultura di un territorio (il Cilento) che l’autore preferisce inserire, attraverso confronti storico-archeologico-ermeneutici, entro la vasta aggregazione di Lucania occidentale.
È la “resilienza della restanza” che dovrebbe sconfiggere le forme dell’altrove, oggi particolarmente prevalenti riguardo le scelte di giovani che vogliono aprire al nuovo per trovare altre possibilità di vita, lasciando le comunità, fatte di legami affettivi, culturali, relazionali, svuotate e smarrite rispetto alle sfide del futuro. Al contrario, la restanza nasce e matura in chi consapevolmente rimane o ritorna nei territori d’origine: è un concetto che propone un sentimento attivo che si nutre delle aspirazioni di chi sceglie di intraprendere questa via. Restanza, nell’accezione di Vito Teti, è “abitare un luogo” in cui si sono consolidate le proprie radici e il proprio essere, avendo però la consapevolezza che è determinante la componente psicologia e sociale di vivere lo specifico Genius loci.
Leuzzi propone una visione comunitaria che si fonda sui significati simbolici e sulle ritualità ancestrali, su una identità che è cambiamento ma certamente entro una dimensione di appartenere, custodire e tramandare la memoria dei luoghi.
Ovvero, opporsi ai mutamenti che ti collocano in un altrove inaccessibile e senza radici e slanci, convivendo con altri una possibilità, non tanto una stabilità, un passaggio che fa scivolare verso il margine, il limite in cui c’è l’incontro con l’alterità, un incontro esistenziale. Credo che l’autore definirebbe tutto ciò l’esistentivo heideggeriano, presente prima della maturazione della consapevolezza dell’essere/esser-ci.
Ho citato questo assunto perché il volume è ricco di spunti e riflessioni epistemologiche, che passano dalla scienza psicologia a quella antropologica, per connettersi ai significati simbolici (mitopoietici) e alla condizione ermeneutica che fa da sfondo all’intero percorso culturale di Leuzzi.
Una indicazione essenziale per comprendere l’intera sua opera è certamente l’approccio simbolico dei luoghi che possono conferire “una rappresentazione eidetica che li sottragga al destino irreversibile di non luoghi”, ritrovando una insperata relazione dialettica con il mondo esterno.
Passo ad analizzare alcuni contenuti del lavoro, non senza manifestare apprezzamento per un approccio che vede il territorio aprirsi a ciò che è definito anima mundi, che non è solo passato ma anche evoluzione. Diventa interessante scoprire come si possano sincronizzare le tradizioni culturali con elementi interculturali e come lo spirito di un luogo si possa integrare con le bellezze insite nello stesso, che producono un legame stretto basato sulla consapevolezza di un fruttuoso interscambio/interazione.
Sostiene l’autore che occorre sgomberare il campo da tendenze di nostalgia e di conservazione di un esistente che non può essere tale, perché l’identità è sempre evolutiva: l’individuum (non suddiviso) diventa dividuum (che si può dividere), e per questa ragione non può prescindere da un mondo in relazione, tra esperienza vissuta e realtà intersoggettiva, in cui il soggetto si costruisce comparandosi con quello che è l’altro da sé, aspetti materiali e immateriali su cui insiste l’azione dell’uomo.
Su tali aspetti un comune lavoro dal titolo: “Identità Evolutive” (L. Leuzzi, P. Martucci), può servire ad apportare ulteriore chiarezza e riscontri.
Ritengo che i primi tre capitoli siano quelli che individuino il percorso non solo di questo libro ma dell’intera ricerca di Luigi Leuzzi: 1) Un contributo antropologico culturale in tema di identità relazionale; 2) La restanza come occasione di una identità evolutiva; 3) Simboli identitari del Cilento che resta.
Qui abbiamo contenuti e riflessioni, che si confrontano con i simboli e i significati di una cultura che va studiata attraverso una serie di discipline che vanno dalla storia, all’antropologia, alla psicologia. Ma la ricerca deve contenere anche un approccio integrato tra teoria e pratica, tra suggestioni che emergono nel processo ermeneutico e riscontri sul campo, il metodo del ricercatore/antropologo, e tanto altro.
Leuzzi si sofferma in particolare sulla dea Cilens (e la stessa possibile origine etimologica del termine Cilento), sul Megalitismo e la Grande Madre (di cui si è spesso occupato per ricondurre alle origini identitarie che non possono prescindere dall’ambito religioso), sull’Antece e l’oracolo delle origini (oggetto di grandi speculazioni da parte di numerosi studiosi), su Parmenide e l’incontro con l’alterità (la presenza ad Elea del grande filosofo), sulla Tomba del tuffatore (Museo di Poseidonia-Paestum) e gli etruschi di frontiera. Resta il Cavaliere nero e il ritorno dell’eroe, oltre che Dionisio e il Brigantaggio.
Nelle conclusioni, sono centrali i simboli identitari che intendono porre in una linea di continuità tra passato, presente e futuro. Qui ancora pare essenziale un riferimento all’Heidegger dell’esser-ci come ex-sistere (stare fuori, non chiudersi in quello che è), ma vivere ed aprirsi alla possibilità della vita quotidiana, la dimensione della “comprensione esistentiva”, che si distingue dall’ontologia della “comprensione esistenziale”.
Si parte dalle origini e dal confronto con l’alterità, come interscambio continuo, per permettere di rendere fluido e disponibile l’incontro con l’altro; si approda certamente ad un atteggiamento di “apertura e curiosità verso le altre società”. Dunque, l’alterità è da intendere come confronto, anche per dimostrare che c’è una ricchezza culturale da “mostrare” agli altri, cioè tutti i simboli e i significati del Cilento che resta.
Grazie per le parole profonde con cui viene descritto il percorso simbolico ed ermeneutico con cui sono approdato ad una restanza che è innanzitutto incontro dell’anima individuale con l’anima mundi al fine di cogliere le potenzialità evolutive di ogni ambito antropico della terra delle origini e così poter coniugare i simboli identitari con le transazioni necessarie per attraversare la modernita’ in quanto ineludibili significanti maitre .
Grazie per la sensibile corrispondenza