Viviamo ancora in società democratiche, oppure stiamo abbandonando i principi e le regole che hanno caratterizzato le vite delle persone nei Paesi occidentali dopo la Seconda guerra mondiale?
La gestione del potere sarà affidata a forme di autoritarismo, controverse e di difficile classificazione, che metteranno in discussione i principi democratici?
Di fronte a molti interrogativi che emergono nelle nostre società, produco qualche riflessione sul concetto di autoritarismo.
Sembra la fine di un’epoca e non è ancora stata determinata quella successiva: è lo stato intermedio in cui qualcosa è finito ma non si riesce ad individuare ciò che sarà. Viviamo quell’incertezza che sta condizionando le nostre realtà ormai da alcuni decenni e che si è acuita soprattutto a partire dagli anni duemila. La percezione è la perdita del controllo da parte degli Stati occidentali e degli organismi democratici internazionali che si erano consolidati a partire dalla seconda guerra mondiale.
In questo intermezzo abbastanza lungo, si è affermato con forza quel neoliberismo che ha condotto alle società globali, dove ha prevalso l’economia e la finanza non controllata dagli Stati nazionali che hanno convissuto e condiviso le ragioni di trovare in quei meccanismi la soluzione per poter crescere ed affermarsi. Il modello liberal-democratico è stato accusato delle maggiori nefandezze, ed allora la popolazione ha reagito non tanto per cambiarne le regole quanto piuttosto per sovvertirlo.
Lucio Caracciolo, il 1° settembre su “La Repubblica”, ha sostenuto la possibilità di cambi di regime negli Stati Uniti, una sorta di “congedo dalla democrazia liberale”. Si tratta, a suo parere, di una rivoluzione, quella di Trump che coltiva “l’utopia di americanizzare il mondo a colpi di mercantilismo”, per la crisi di legittimazione del sistema: sfilacciamento delle regole istituzionali e fallimento della globalizzazione.
Molti sottolineano la crisi delle democrazie, con il progressivo svuotamento nella sostanza dei principi che hanno faticato ad affermarsi e a consolidarsi. Emergono oggi forme di gestione del potere, autoritarismi, che cercano di concentrare il dominio in poche mani e restringere le libertà delegittimando un’idea/progetto (democrazia) capace di radicarsi grazie all’azione di individui che hanno lottato per affermare diritti civili e sociali.
Il processo di de-democratizzazione si è realizzato con il passaggio da una democrazia rappresentativa ad una immediata, quella soprattutto dei social: la democrazia dell’audience ha contenuto la partecipazione politica e ha ridotto i cittadini a semplici spettatori.
Non si percepisce che il sistema democratico si sta trasformando, perché ci sono ancora elezioni, esiste un parlamento e la stampa riesce a pubblicare: forse ci accorgeremo che la democrazia è stata sostituita solo quando sarà troppo tardi (Micromega, Sulle macerie della democrazia, 4/2025). Il liberismo ha provocato l’aumento delle disuguaglianze e la riduzione della partecipazione politica, gli esempi sono Orbán e Putin che promettono benefici personali e dignità collettiva.
Non esiste una definizione univoca di autoritarismo, ed allora come possono essere intese le tendenze autoritarie e i meccanismi di concentrazione del potere?
Certamente le guerre di Putin, Netanyahu e le profonde crepe che produce Trump con i suoi proclami, in un sistema americano che è stato per ottant’anni una sorta di custode dell’ordine democratico mondiale, segnano costanti violazioni di ogni diritto e ricorso a forme di violenza per poter realizzare questo cambio di prospettiva.
L’autoritarismo è un termine che deriva da auctoritas (augere, far crescere); mentre il suffisso ismo, è tendenza, sistema, dottrina, atteggiamento. Designa quel potere che intende esercitare una funzione imponendo la propria volontà, attraverso metodi coercitivi ma anche solo con comandi, ordini che comportano obbedienza.
La tesi di partenza è certamente quella forma di un autoritarismo che è sfociato nel totalitarismo nella prima metà del Novecento. Hanna Arendt ha sostenuto che esso non pretende solo la subordinazione politica degli individui ma invade e controlla anche la loro sfera privata. La sua missione è di sostituire la società esistente perseguendo una politica diretta al dominio mondiale, attraverso il terrore e il pensiero ideologico. Il totalitarismo necessita di una massa senza individualità, ma amorfa nei confronti della vita e sfiduciata dal sistema dei partiti (H. Arendt, Le origini del totalitarismo, Einaudi, 2009, or. 1951).
Theodor W. Adorno con i suoi collaboratori realizzò una ricerca verso la fine degli anni quaranta per individuare una teoria della personalità autoritaria, che emerge dall’insicurezza quando, rotti i legami tradizionali con la propria comunità, l’individuo non riesce ad assumere responsabilità personali e delega ad un’autorità la gestione del potere. Furono tracciati i tratti specifici di questa personalità, riconducibili a conformismo, sottomissione agli ordini, aggressività più o meno contenuta e una visione negativa dei rapporti interpersonali (Th. W. Adorno e altri, la personalità autoritaria, voll. 1 e 2, Pgreco Edizioni, 2016, or. 1950).
Un’altra considerazione sull’autoritarismo può essere affidata a Linz che ha compiuto studi sul franchismo, ma per estensione le sue analisi possono riguardare molte altre realtà: sono regimi a pluralismo politico limitato, senza un’ideologia definita, senza l’utilizzo di una mobilitazione politica, esercitando un consenso passivo. I regimi autoritari non vogliono cambiare l’uomo né modernizzare la società, lasciando un certo spazio a una limitata competizione fra le forze economiche. Il loro maggiore successo consiste nel rallentare il ritmo del cambiamento socio-economico cercando di agire lentamente per fare assimilare nella struttura del potere esistente i nuovi gruppi emergenti. Il problema maggiore è nella successione alla leadership; per questo motivo, sostiene lo studioso, i regimi autoritari non hanno dimostrato grandi capacità di durata (J. Linz, An authoritarian regime: Spain, in Mass politics, a cura di E. Allardt e S. Rokkan, New York 1970, pp. 251-283)
La predisposizione all’autoritarismo emergerebbe quando c’è una fase di transizione da una società tradizionale, protetta e rassicurante, a una società di massa, nella quale gli individui sono al tempo stesso sradicati e atomizzati. Si distinguono per una dipendenza quasi patologica da ogni forma di autorità superiore, esercitando a loro volta la tendenza al dominio sui più deboli. In questa fase, possono nascere e diffondersi ideologie autoritarie, che mettono in rilievo i valori tradizionali e si fondano su obbedienza, ordine, sottomissione, rispetto delle gerarchie; si realizza l’idea di accettazione delle diseguaglianze, denuncia esplicita dell’egualitarismo, forme di antisemitismo e razzismo. (W. Kornhauser, The politics of mass society, Glencoe 1959)
Questi assunti permettono di individuare un potere che si concentra nelle mani di pochi, mentre i meccanismi di controllo si indeboliscono. Il rischio è che una democrazia può cambiare forma senza che le persone se ne accorgano: ciò avviene gradualmente, anche perché la democrazia sembra scontata e le persone sono convinte che essa resisterà nel tempo (A. Applebaum, Autocrazie, Mondadori, 2024).
Molti pensano che le regole del gioco sono ormai consolidate e che la libertà di parola, il pluralismo e la separazione dei poteri possano continuare a contenere le tendenze autoritarie. È opinione diffusa e condivisa che la democrazia pur non essendo il miglior sistema possibile è l’unico moralmente accettabile, come sosteneva Winston Churchill.
Partendo da Linz e dai successivi studi, è possibile compiere una classificazione tra “regimi democratici” e regimi “non democratici”. Questi ultimi sono: tirannie e dispotismo; monarchie e assolutismo; dittature, totalitarismi, autocrazie; infine autoritarismi. Le non democrazie sono a pluralismo limitato, senza un’ideologia riconducibile a un partito, senza mobilitazione politica, con un leader che esercita un potere entro limiti non definiti, esercitando una sorta di arbitrio.
Oggi gli autoritarismi non si impongono più con la forza, ma con l’azione continua di leader populisti, interpreti della volontà popolare, che parlano di ordine, efficienza, protezione; promettono di semplificare la democrazia, non di abolirla. In realtà il populismo è una risposta sbagliata ad istanze giuste, che riguardano le instabilità e le disuguaglianze che si verificano nel mondo contemporaneo, in balia della globalizzazione che ha fatto scomparire i modi di vivere e i valori tradizionali: le persone sentono di essere straniere in casa loro e chiedono soprattutto protezione. La stessa può essere esercitata solo con il controllo di qualcuno che decide al nostro posto, ed allora è meglio un governo autoritario guidato da leader forti.
Steven Forti (Vecchi e nuovi autoritarismi, Micromega, 4/2025, pp. 6-16) individua tra i regimi non democratici: il totalitarismo, l’autoritarismo, il sultanismo. Nel primo caso, c’è un partito unico che controlla la società agendo sull’inquadramento delle masse e su una ideologia forte. Ad ogni modo, si tratta di sistemi politici a pluralismo limitato, come accade con gli autoritarismi, che comportano una serie di declinazioni di non facile classificazione. Sembrerebbe che vari Paesi abbiano maturato autoritarismi che si sono sviluppati attraverso differenziate formule: “burocratico-militare”; “corporativo-autoritario”; “regimi ibridi”, che contengono sia i pre-totalitari che quei regimi imperfettamente autoritari. Si tratta di possibilità di transizione da uno all’altro, in quanto i confini sono piuttosto sfumati. Poi ci sono regimi autoritari che si affermano nelle società post-democratiche, ed allora diviene in uso l’espressione: “democrazie illiberali”. Infine il sultanismo comporta che il potere sia esercitato da un leader o da un clan che lo esercita in maniera arbitraria o cleptocratica (gli esempi sono il Nicaragua di Somoza, le Filippine di Marcos, la Romania di Ceausescu). Ancora sono da citare le monarchie islamiche, teocrazie o regimi coranici. Sostiene Forti che un ruolo importante è occupato dai social, sfruttando gli algoritmi delle piattaforme digitali per intercettare paure e rabbia, per seminare odio e disinformazione. L’estrema destra si è fatta sistema, corrodendo le democrazie dall’interno con un linguaggio rassicurante che promette ordine, identità, sicurezza. È il nuovo volto dell’autoritarismo tra potere, tecnologia e propaganda (S. Forti, Estrema destra 2.0. Cos’è e come combatterla, Castelvecchi, 2025).
Tra le forme di autoritarismo, è stato introdotto il termine “oikocrazia” (potere kratos e oikos, famiglia, clan), ovvero organizzazioni di tipo clientelare fondate su clan che antepongono interessi privati su quelli pubblici. È il clan che tramite la famiglia porta le società a specializzare i propri membri nell’uso della forza piuttosto che nell’acquisizione di competenze: assicura il controllo del territorio ma anche la sfera globale. I social media hanno poi favorito la dimensione della non intermediazione permettendo di avere un rapporto diretto con il leader (F. Armao, L’età dell’oikocrazia. Il nuovo totalitarismo globale dei clan, Meltemi, 2000).
Sostiene Forti che il processo di de-democratizzazione dura ormai dalla fine degli anni Novanta del Novecento. La cosa preoccupante è che oggi solo il 30% della popolazione mondiale vive in sistemi democratici, mentre vent’anni fa era il 50%. Questo fatto dimostra che l’instaurazione di regimi autoritari è avvenuta di recente in maniera non del tutto evidente a discapito delle democrazie. In un report dell’Istituto V-Dem, si evidenzia che attualmente i regimi sono: democrazia liberale; democrazia elettorale; autocrazia elettorale; autocrazia chiusa. Le ultime forme autocratiche si differenziano per la mancanza di elezioni, anche se sono carenti anche le libertà di espressione e di associazione. Nei casi di elezioni, le stesse non sono libere e giuste. Tra le autocrazie elettorali, ci sono Russia e Turchia; tra le autocrazie chiuse, Cina, Iran, Afghanistan.
Il concetto di democratura è stato usato per indicare i regimi non democratici, come ad esempio l’Ungheria di Orbán. È un ibrido tra democrazia che in fase di transizione potrebbe sfociare in dittatura: è un regime illiberale che conserva tratti di democrazia. Levitsky e Way hanno poi parlato di regime ad autoritarismo competitivo, con le opposizioni che cercano di prendere il potere, anche se si tratta di un’antidemocrazia perché sbilanciata a favore di chi governa: “l’esecutivo viola almeno uno dei tre attributi cruciali della democrazia”, ovvero libere elezioni, libertà civili, condizioni di parità tra governo e opposizioni.
Zakaria ha coniato il concetto di democrazia illiberale, ovvero regimi che all’apparenza sono democratici ma nella sostanza non rispettano pluralismo, libertà individuali e separazione dei poteri. Orbán di fatto ne sottolinea l’importanza, partendo dalla critica al liberalismo che è incompatibile con la democrazia. Al centro deve esserci una società che si contrappone all’individuo, mutuando le idee di Schmitt e “la critica del conservatorismo liberale e lo stato di diritto”. L’unica democrazia deve essere quella plebiscitaria. Ad ogni modo, democrazia illiberale è un ossimoro; alcuni hanno allora coniato il termine di autoritarismo plebiscitario, perché di fatto lo stesso concetto di democrazia è lasciato a personaggi che non sono democratici (Forti).
Dato tutto ciò, è comunque da rilevare il processo di de-democratizzazione, con l’avvento di oligarchie, “in cui il potere reale si sposta verso conglomerati economici e di dimensioni gigantesche” utilizzando poteri mediatici in grado di legittimarle. Le democrazie hanno perduto la consapevolezza della propria origine, ma anche la loro complessità è stata messa in crisi. È necessario però che gli individui difendano la democrazia, con tutte le sue opacità e contraddizioni (C. Galli, Democrazia, ultimo atto?, Einaudi, 2023).
Di recente, Pedullà e Urbinati (Democrazia afascista, Feltrinelli, 2024) hanno coniato una forma autoritaria di democrazia (definita afascista), che si baserebbe su una anti-social-democrazia, una forma autoritaria elettiva identificata con le decisioni; essa non concepisce il dissenso ed è ipermaggioritaria e clientelare; “intende la democrazia come dominio illimitato di chi ha la maggioranza”; crede che una “classe politica governa attraverso l’esposizione mediatica del leader”. Rifiuta poi il conflitto perché provoca caos e disordine; infine, rileva che “ogni progetto di contestazione e di cambiamento” deve partire dal vertice del sistema. Sarebbe questa la radiografia del governo Meloni.
Anne Applebaum (Autocrazie, Mondadori, 2024) sostiene che oggi non siamo governati da un solo uomo ma da forme di “Autocrazie S.p.A.”, strutture finanziarie cleptocratiche che si affidano a servizi di sicurezza militari, paramilitari e di polizia e su esperti di tecnologia che forniscono sorveglianza, propaganda e disinformazione. Hanno quale nemico il mondo occidentale, il modello democratico, la Nato, l’Unione europea e le idee liberali. Gli autocrati odiano i principi democratici che minacciano il loro potere: giudici indipendenti e giornalisti liberi possono influenzare la loro azione. L’analisi della Applebaum è impietosa: gli autocrati non propongono un mondo migliore, ma il loro obiettivo è di persuadere le persone a stare lontane dalla politica e dalla gestione del potere. Costruiscono consenso mediante la diffusione del risentimento, dell’odio e del desiderio di superiorità.
La conclusione è che gli autoritarismi sorgono dalla democrazia e sono una risposta al neoliberismo autoritario, inteso come “dottrina invisibile”, ma non riescono a trovare soluzioni nel rispetto dei principi e dei diritti. Essi non negano la democrazia ma la svuotano, per mantenere una parvenza di regole (Forti). Ed allora occorre, come sostiene Applebaum, perseguire la strada della partecipazione democratica, in cui gli uni siano legati agli altri per condividere valori, quali libertà e diritti: essi con le loro azioni possono salvare e mettere al sicuro le democrazie, le uniche in grado di permetterci di vivere in una società civile.
Un articolo che coraggiosamente affronta una tematica tanto attuale e “vitale”, quanto terribilmente complessa. L’autore lo fa con scientifica correttezza – qualità che oggi tende a svanire, quasi seguendo il destino delle democrazie – aprendo e mostrando un ventaglio di qualificate osservazioni, soprattutto degli ultimi ottant’anni sulla democrazia, la post democrazia, i regimi autoritari, le dittature. E lascia, giustamente, la discussione aperta. Perchè sarebbe e sarà molto difficile chiuderla nel tempo presente. La geopolitica è attraversata da movimenti tellurici forti e crescenti, i cui esiti saranno sicuramente gravi e impegnativi a livello globale. Ma sono molto difficili da prevedre. Quello che è sotto gli occhi di tutti è che le classi dirigenti europeee non se ne capacitano. Continuano a ragionare come se fossero le civiltà imperiali e coloniali di un atempo. Pretendono ancora di insegnare, di indicae ed intimare ad un mondo, del quale occupa per popolazione circa il 12% dl totale e il 18,3% della sua economia.
Ringrazio per le osservazioni, specie in riferimento alle complesse modalità di interpretazione di fenomeni attuali che solo un approccio scevro da pregiudizi può affrontare.
La società attuale si caratterizza per un marcato individualismo ed in maniera antinomica per una adesione acefala da parte dei più ad una pulsione securitaria cavalcata a sua volta da un populismo che investe nel narcisismo la cifra enigmatica del qualunquismo. La rete virtuale si sostitusce alla rete solidale; un Io metamorfico a sua volta decreta la fine del noi senso della communitas.l’autoritarismo si attesta dunque come l’unica idolatria possibile in un’agora’ svuotata di luoghi civili ed identitari.La democrazia è un rimando ad un non luogo della piattaforma dei social network dove una comunicazione sensazionistica governa una suggestiva corrispondenza tra individui sempre più diluiti e sfillacciati in una modernità liquida citando Marc Augee’ e Zigmunyt Bauman ,dove un tempo accellerato in uno spazio zero accoglie flussi informativi che vengono gestiti in maniera predatoria da leader narcisisti e distanti in maniera siderale dall’umano .Complimenti per la disamina complessa e ben ragionata.
Grazie. Occorre analizzare e prestare particolare attenzione a questi fenomeni per comprendere le dinamiche più attuali che riguardano un presente proiettato nel futuro. Lavorerò soprattutto su questo terreno complesso. È la sfida da affrontare.