Le nostre società credono ancora nel potere dell’immaginazione, della fantasia, della finzione, e propongono storie fantastiche che permettono agli uomini di fuggire dalla realtà. È il caso de “Il Signore degli Anelli”, che ora diventa serie televisiva (“Gli Anelli del Potere”, con inizio il 2 settembre 2022), dopo essere stata una saga cinematografica che ha avuto un successo planetario. L’autore di quei volumi è J. R. R. Tolkien, scrittore e costruttore di linguaggi artificiali, di cui quest’anno ricorrono i 130 anni della nascita.
Per parlare oggi di mitologia occorre volgere uno sguardo al passato, ai miti greci e romani, ma anche alle saghe nordiche (I Nibelunghi), che nelle trasposizioni cinematografiche diventano personaggi amati e seguiti dal pubblico, soprattutto attraverso le immagini filmiche che danno vita ad una serie infinita di saghe. Jan de Vries dimostra che la spiegazione della saga (quella degli Argonauti o di Sigfrido) non si trova nei racconti, ma nei miti, che rappresentano: la vita dell’eroe, dalla sua nascita alla sua morte tragica; una forma poetica creata negli ambienti aristocratici; un mondo ideale, posto in un’età dell’oro, simile al mondo degli Dei.
Il mito narra una storia o un avvenimento che ha avuto luogo nel tempo delle “origini”. In altre parole, grazie alle gesta degli Esseri Soprannaturali o Eroi, una realtà è venuta ad esistenza, sia che si tratti del Cosmo sia che rappresenti un frammento di realtà: un’isola, una specie vegetale, un comportamento umano, un’istituzione. Il mito quindi è sempre la narrazione di una “creazione”: Mircea Eliade riferisce di come un evento è stato prodotto, ha cominciato ad essere, ciò che è accaduto realmente esi è pienamente manifestato.
Questa è l’idea di mito classico opportunamente rappresentato. Uno degli autori, forse poco noto per la sua biografia, ma conosciutissimo per la creazione di storie importanti e seguitissime, personaggi creati decenni fa e poi consacrati dalle immagini filmiche, è certamente John Ronald Reuel Tolkien, filologo e scrittore britannico, nato nel 1892 e morto nel 1973. È conosciuto per Lo Hobbit (anno di pubblicazione 1936); la trilogia Il Signore degli Anelli (pubblicazione tra il 1954 e il 1955); Il Silmarillion, pubblicato postumo. I film realizzati tratti dalla più famosa saga di Tolkien sono: “The Lord of the Rings” (Il signore degli Anelli: La compagnia dell’Anello, 2001); “The Two Towers” (Le Due Torri, 2002); “The Return of the King” (Il Ritorno del Re, 2003). In seguito, senza ottenere il successo dei primi, si sono realizzati tre film sullo Hobbit: Un viaggio inaspettato (2012); La desolazione di Smaug (2013); La battaglia delle cinque armate (2014).
Lo scrittore, proveniente dal Sudafrica, già da adolescente in Inghilterra aveva iniziato lo studio del latino e della lingua anglosassone; poi si occupò della creazione di una lingua artificiale, l’animalico (animalic) prima e il Nevbosh in seguito. Codificò in maniera autonoma una sua lingua, il Naffarin e approfondì intorno al 1909 l’esperanto, componendo un taccuino di sedici pagine con brevi racconti, utilizzando i suoi alfabeti artificiali. Nel 1911, in Svizzera, effettuò una serie di escursioni che saranno poi trasposizioni narrative dei viaggi dei suoi personaggi. I suoi studi accademici, con interessi legati alla lingua e al linguaggio, riguardarono i classici, la lingua e la letteratura inglese (si laureò nel 1915, specializzandosi sulla lingua norrena); dopo la prima guerra mondiale, si occupò di storia ed etimologia delle parole di origine germanica, scrivendo anche un Middle English Vocabulary. In seguito fu professore presso le università di Leeds ed Oxford.
Le opere di Tolkien, in particolar modo Il Signore degli Anelli e Il Silmarillion, sintetizzano i suoi interessi: dalla filologia e al linguaggio, alla Cristianità, alla mitologia, alla letteratura antica e moderna, all’archeologia. Attinse ampiamente dalle lingue e abitudini germaniche, celtiche, finlandesi e greche. Quale autore di critica letteraria svolse attività seminariale nel 1936: riguardò il poema epico anglosassone Beowulf (pare dell’VIII secolo, tramandato oralmente), un punto di riferimento imprescindibile nello studio della letteratura Old English. Beowulf ha influenzato la narrativa tolkeniana ed ispirato numerose descrizioni sia de Lo Hobbit che de Il Signore degli Anelli.
Elaborò un pensiero originale partendo dalla religione, dalla società a lui contemporanea che palesava limiti umani e di idee. Fu un cattolico che esaltava la Comunione, un sacramento per il quale riteneva la Chiesa Cattolica superiore a tutte le altre comunità ecclesiastiche. Nei suoi ultimi anni di vita, Tolkien fu inoltre particolarmente ostile ai cambiamenti indotti dall’abbandono del latino liturgico. Più volte sono state sollevate questioni legate ai temi razziali: le sue opere fantasy sono spesso state accusate di trasporre in controluce atteggiamenti antiquati sul tema della razza, stabilendo nel proprio universo narrativo gerarchie sociali che legittimavano la superiorità di alcune razze rispetto ad altre, viste come prive di qualità morali e spirituali. Molti studiosi, tuttavia, hanno notato che Tolkien fu dichiaratamente anti-razzista sia in tempi di pace che durante i due conflitti mondiali, oltre che disgustato dalla propaganda della Germania nazista. Gli fu poi avanzata l’accusa di conservatorismo, legato alla sfiducia nel progresso ed all’attenzione ai temi ecologici ed ambientali. Se il suo contesto era lontano da posizioni ambientaliste, resta il fatto che in lui ci fosse una devozione per le foreste e una riprovazione per gli abbattimenti illeciti e scriteriati di alberi, come pure tanta sensibilità ed interesse per il valore della natura pura e incontaminata, da proteggere dalla tossicità dei fenomeni di industrializzazione di massa. Sulla politica, Tolkien si definiva anarchico, soprattutto in termini filosofici, in quanto non credeva al controllo e al governo di un uomo su un altro. Si chiedeva se dopo la prima guerra mondiale una nicchia di persone reazionarie come lui sarebbe sopravvissuta ad un mondo piatto e noioso, in cui la gente va veloce e si afferma un’unica lingua, quella inglese. Trovava questo cosmopolitanesimo del tutto terrificante. Da ciò forse il suo conservatorismo e la sua anarchia.
Vediamo il suo percorso letterario, partendo dal filo conduttore delle sue opere.
Lo Hobbit fu scritto per il divertimento dei propri figli. Nel 1936 Susan Dagnall, impiegata presso la casa editrice londinese “George Allen & Unwin”, convinse lo scrittore a dare alle stampe la propria creazione. È la storia di Bilbo Baggins, uno hobbit, che riceve la visita del mago Gandalf e decide di seguirlo nella sua avventura. La missione è recuperare un tesoro nascosto all’interno della Montagna Solitaria, protetto dal drago Smaug. Ci sono rocambolesche avventure di nani e dei loro nemici; quando ogni speranza è persa Gandalf libera tutti. Ancora non è terminata la storia: Bilbo ruba un tesoro a Gollum (personaggio ambiguo e corrotto) e un anello magico, creato da Sauron, il Signore Oscuro. L’anello dona l’invisibilità a coloro che lo indossano, ma li rende anche potenti e malvagi. Il finale è la sconfitta del drago e il recupero del tesoro.
La popolarità raggiunta dal racconto spingerà Tolkien a scrivere un sequel di quella storia.
Il Signore degli Anelli fu concepito per raccontare gli eventi posteriori a quelli narrati ne Lo Hobbit. Tolkien attese più di dieci anni all’ideazione e scrittura dei tre volumi, che furono pubblicati nel 1954–1955. Se l’iniziale atmosfera era centrata su meccanismi fanciulleschi, presto la trilogia riguardò mistero e vicende fosche riguardanti la missione della Compagnia dell’Anello per distruggere gli Anelli del Potere e scongiurare il pericolo che il suo possessore possa dominare la Terra di Mezzo. Ritorna Sauron, il Signore Oscuro, il Signore degli Anelli del Potere. Uno degli anelli è dotato di una forza vitale che permetterà di conquistare e governare la Terra di Mezzo. Frodo eredita l’anello da Bilbo, ma Gandalf gli consiglia di non indossarlo: dopo diciassette anni il mago rivela che l’anello è quello creato da Sauron per dominare la Terra di Mezzo. Ora Frodo decide di partire con tre amici per riportare lontano, a Rivendell, quell’anello che costituisce un pericolo. Per sconfiggere Sauron, la Compagnia dell’Anello dovrà gettare nella lava del Monte Fato l’oggetto: seguiranno avventure attraversando foreste, incontrando draghi e creature mostruose, lottando contro il male. Come si vede, si tratta di personaggi che non si lasciano corrompere dalla vana gloria e dall’idea di dominio e potere. Il bene prevale anche perché è rappresentato dagli umili e semplici, ma molto intelligenti.
L’ultima opera è il Silmarillion, che ebbe inizio per dare forma narrativa al repertorio mitico da cui attingono anche Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli. Questo scritto subì una vicenda travagliata e si concluse con la pubblicazione da parte del figlio terzogenito di Tolkien, Christopher, che riprese il materiale inedito del padre e diede alle stampe il volume.
Il merito di Tolkien è di aver attraverso studi e letture, creato quel mondo magico della Terra di Mezzo, per cui ideò in modo particolareggiato mappe, leggi, lingua, raccontando le straordinarie avventure degli abitanti di questo regno fantastico. La questione più interessante in questa lunga saga è che c’è un cambio di prospettiva rispetto alla mitologia greco-romana, oppure alle vicende dei Nibelunghi: la particolarità dei suoi personaggi è che non sono guerrieri ed eroi, ma mezzi uomini, persone comuni, che scoprono il coraggio di reagire. In tal modo si realizza una critica all’eroismo, al capo, che cerca una morte gloriosa per essere ricordato e per farne esaltare le gesta, il mito. Sull’esempio di Omero, Virgilio, Dante, Torquato Tasso, anche Tolkien ha proposto all’umanità una profonda esposizione della natura dell’uomo e dei suoi drammi come la scelta tra il bene e il male, tra la pietà e la crudeltà, tra l’amore e l’odio, tra la fedeltà alla patria e il suo tradimento. Attraverso il valore dell’amicizia e della compagnia, illustra lo stare insieme delle persone, l’unione del legame a prescindere dalle diversità.
La critica più recente ha considerato l’opera di Tolkien in modo positivo e la realizzazione letteraria è stata lentamente riconosciuta come qualcosa di significativo: la nascita dell’interesse verso la letteratura high fantasy e l’osservazione dei linguaggi artificiali inventati. Il New York Herald Tribune sembrò guardare lontano, quando sostenne che i suoi libri sarebbero diventati popolari e destinati a sopravvivere al nostro tempo. Wystan Hugh Auden, ammiratore degli scritti tolkieniani, considerò Il Signore degli Anelli un capolavoro, affermando inoltre che, in alcuni casi, esso aveva superato il risultato del Paradiso perduto di John Milton. Non tutte le recensioni furono cortesi. Judith Shulevitz del The New York Times criticò la pedanteria dello stile letterario di Tolkien, mentre il critico Richard Jenkyns, sul The New Republic, rilevò una percepita mancanza di profondità psicologica.
Dunque visioni contrastanti a seconda dei contesti: i critici marxisti hanno denigrato Tolkien a causa del suo conservatorismo sociale e della concezione che interpreta la Terra di Mezzo come parodia del comunismo sovietico. Altri sostengono che il romanzo è una “fantasia politica” per i lettori della classe media che cercano di evadere dalla realtà. Ad ogni modo, tanti hanno apprezzato l’uso creativo della mitologia norrena, della tragedia, dei mostri e la critica dell’allegoria (China Miéville).
Recentemente Andrea Monda ha compiuto una rilettura dell’opera tolkieniana (Monda A., John Ronald Reuel Tolkien. L’imprevedibilità del bene, Edizioni Ares, 2021), per evidenziare la differenza rispetto all’epica classica e ai miti antichi: si tratta di un diverso tipo di eroismo, la vicenda di quel mezzo uomo, lo Hobbit, che è parte di un disegno più grande, la Provvidenza. Questi esseri sono umili, nel senso etimologico del termine, ovvero hanno a che fare con l’humus, con la terra. Gli Hobbit vivono con i piedi conficcati nel terreno e non si montano la testa. Per Monda, lo stesso Signore degli Anelli non è Sauron, bensì l’anello stesso, che con il suo passare di mano in mano crea scompiglio e tentazioni. Gli Hobbit obbediscono, sono capaci di ob audire, mettersi in ascolto, realizzare cioè un concetto inattuale per la sensibilità contemporanea. Nello scrittore si realizza una profonda attenzione all’ordine sociale dato: il Silmarillion è un’opera in cui l’organizzazione “sociale” è speculare rispetto all’ordine divino, e le relazioni intersoggettive seguono una logica da cui traspare l’armonia come unità nella differenza.
C’è poi la questione del contenuto politico nei suoi scritti. Stratford Caldecott, basandosi su alcune affermazioni dell’autore, ritiene che non rivendicasse nessuna appartenenza partitica, anche se Tolkien potrebbe essere annoverato nel pensiero sociale cattolico inglese, ribadendo la centralità della famiglia e l’importanza del principio di sussidiarietà. Sarebbero i messaggi legati alla dimensione dell’uomo e all’idea della modernità, che produrrebbe decadenza etica ed estetica, in conseguenza della mentalità individualista e dell’industrializzazione senza limiti.
Per queste ragioni, le sue opere non riguardano una presa di posizione ideologica ma sono centrate sul fenomeno del potere. Contro di esso, la libertà costituisce il bene principale da tutelare, sia come valore collettivo che individuale. Si tratta di una libertà “integrale”, che aspira all’autonomia della persona rispetto a ogni condizionamento esterno. L’anello, infatti, rende schiava la volontà del suo possessore e, solo resistendo alle sue lusinghe è possibile privarsene, ritornando padroni di sé stessi. Una metafora, quindi, della solitudine dell’uomo contemporaneo, che non aprendosi al trascendente, si perde in percorsi che conducono al nulla. Secondo Tolkien, anche la stessa democrazia non è immune da limiti. Nei regimi democratici vide il pericolo di deviazioni che si concretizzavano nel materialismo della società dei consumi. Tutto ciò in funzione di un principio secondo il quale l’uomo non può sconfiggere definitivamente da solo il male: la Contea, ad esempio, al ritorno dei protagonisti è attraversata da nuovi problemi, e solo l’azione della Provvidenza riesce a sciogliere i nodi della storia universale. Lo Stato moderno è perciò visto dall’autore come una creatura artificiale, capace di produrre anche regimi liberticidi.
Una considerazione su questo autore la fornì nel 2013 il cardinale Bergoglio, ora Papa Francesco, che sottolineò come, accanto a Enea e Ulisse, nei due gobbi, Bilbo e Frodo, ritorni l’immagine dell’uomo chiamato a camminare, a conoscere e vivere il dramma del bene e del male, uscendo da se stessi, dal proprio orticello, per capire più chiaramente il mondo. Ed in effetti, nel mondo immaginario descritto da Tolkien, negli eroi e nelle eroine, nei loro modi di essere e di vivere, ci sono fantasie ma anche messaggi che inducono a riflettere.
In conclusione, si può sottolineare che la narrazione ha preso, nelle società moderne, il posto occupato dai miti e dai racconti nelle società tradizionali e popolari. Si avverte il bisogno di introdursi in universi “estranei” e di seguire le peripezie di una “storia” connaturata alla condizione umana e, di conseguenza, irriducibile. Vi è un’esigenza difficile da definire: insieme desiderio di comunicare con gli altri e di partecipare ai loro drammi, alle loro speranze, e bisogno di apprendere ciò che è potuto accadere.
Il tempo che si vive leggendo un romanzo o ascoltando un mito permette di uscire dal tempo storico e personale, per essere immersi in un tempo favoloso, trans-storico e del tutto diverso dal vissuto quotidiano.
Molto ben argomentato, oltre che scritto al solito in maniera molto piacevole. Apprezzo la capacità di trattare temi complessi in maniera correttamente articolata ma con quella lineare semplicità che non fa calare l’attenzione e che non si perde nella vaghezza.
Abbiamo bisogno della fantasia e di una terra di mezzo pena il concretismo degli algoritmi decisionali e della sgrammaticatura emozionale di una visione solo alessitimica che inaridisca il nostro essere nel mondo insieme agli altri.Logos e Pathos ed in aggiunta Anima mundi sono gli ingredienti essenziali del Mit Welt.
Un caro saluto e complimenti
Ringrazio Sergio Mantile e Luigi Leuzzi per le lusinghiere parole. La complessità della vita fa chiaramente immergere l’uomo nell’immaginario, oltre che nel razionale. Tutto si tiene. Del resto è proprio l’imprevedibile che permette di creare e di guardare al futuro. E cosa c’è di meno prevedibile della fantasia?