Il nuovo film di Nanni Moretti, nelle sale cinematografiche da giovedì 23 settembre 2021
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“Tre piani” è il film diretto da Nanni Moretti, tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore israeliano Eshkol Nevo, che ambienta la storia in un edificio borghese di Tel Aviv, dove la vita dei condomini è apparentemente tranquilla.
Scrive l’autore: “Il parcheggio, ordinatissimo. Numerato. Il logo del posto di lavoro appiccicato sul paraurti di tutte le auto. Le piante perfettamente potate all’ingresso. Il citofono appena rinnovato. Le caselle della posta, nemmeno una rotta. Nessuna con più di due cognomi. Le biciclette sorprendentemente ordinate. Non c’era musica ad alto volume. Da nessun appartamento arrivavano le voci di un litigio. Insopportabile. Un’isola di pace, chiamavo orgogliosa la nostra periferia”. (Eshkol Nevo, “Tre piani”, Ed. Neri Pozzi, 2017, p. 181)
Ma contrariamente a ciò che si crede, dentro le case regna un caos interiore che ha sede nelle personalità dei personaggi, dando voce ai tanti pezzi della loro anima. Da questo spunto, parte Nanni Moretti, che ha utilizzato un cast validissimo: oltre a sé stesso, Riccardo Scamarcio, Margherita Buy, Alba Rohrwacher, Adriano Giannini, Elena Lietti, Denise Tantucci, Alessandro Sperduti, Anna Bonaiuto, Paolo Graziosi, Tommaso Ragno, Stefano Dionisi, Francesco Brandi, individuando le tre famiglie che abitano nel quartiere Prati di Roma.
Se i contenuti non si discostano dal romanzo, gli intrecci sono più spinti e portano all’abbandono della quiete che parrebbe mai modificare il corso degli eventi. Dietro quelle porte, infatti, si celano una serie di problemi che sono nascosti all’esterno, proprio come accade quando gli usci sono chiusi. I significati simbolici vedono le porte a metà strada tra il noto e l’ignoto, separano il mondo interno da quello esterno, il sonno e la veglia. Sono varchi tra la coscienza quotidiana e la dimensione trascendentale, una transizione tra uno stato e un altro. Le porte proteggono dagli estranei, sono barriere che segnano i confini. Ed allora, il tentativo di uscire, abbandonando il chiuso per l’aperto, per avere il contatto con l’esterno. Moretti ha infatti affermato: “Per quanto riguarda il ballo finale in strada, è una scena che non esiste nel libro, l’abbiamo aggiunta in sceneggiatura, ci sembrava importante questa apertura verso l’esterno. Ci siamo rinchiusi nelle nostre singole vite, nei nostri “tre piani”; ecco quel ballo per strada porta via gli inquilini di quel palazzo verso il mondo esterno, li espone agli altri, la pandemia ha smascherato una bugia a cui avevamo creduto, cioè che potessimo fare a meno degli altri, non sentirci parte di una comunità, e invece proprio nella parte finale del film c’è uno sguardo verso il futuro, verso gli altri”. (N. Moretti, intervista alla presentazione del film, Cannes, 12 luglio 2021)
Andiamo alla struttura della storia. Al primo piano vive una coppia con una bambina, affidata spesso a due vicini. La bimba scompare e quando riappare il padre teme che le sia accaduto qualcosa di terribile: è una paura che si trasforma in ossessione. Al secondo piano una donna è alle prese con la prima esperienza di maternità. L’assenza del marito (spesso all’estero) la porta a vivere una silenziosa battaglia contro la solitudine e la paura di diventare un giorno come sua madre, ricoverata in clinica per disturbi mentali. Infine, una donna e suo marito abitano all’ultimo piano, insieme al figlio di vent’anni. Una notte il ragazzo, ubriaco, investe e uccide una donna. Sconvolto, chiede ai genitori di fargli evitare il carcere, ma il padre è convinto che suo figlio debba essere giudicato e condannato per quello che ha fatto. Da qui la rottura tra i due, con la moglie che deve scegliere da che parte stare.
I piani del palazzo sono anche i tre livelli nei quali Freud ha diviso la psiche: il personaggio di Scamarcio, quello di un uomo impulsivo convinto che qualcosa di tremendo sia accaduto alla sua bambina è l’Es, ovvero le pulsioni primordiali e istintive; quello della Rohrwacher, una madre da sola con un figlio appena nato, è l’Io, mediazione tra istinto e censura razionale; quello di Moretti, un severo giudice, è invece ovviamente il Super Io, l’area del controllo e del divieto.
Per alcuni, il film non è del tutto riuscito per ciò che attiene la sua rappresentazione in quanto, pur non sfociando mai nella pornografia del dolore e nel cinema melodrammatico, non riesce nel suo intento di congelare le passioni per analizzarle con occhio clinico, per sezionarle, scrutarle e così, tramite il cinema, capirle. La decisione del regista sarebbe quella di tornare a puntare su una recitazione ieratica, solenne, e una direzione degli attori quanto più possibile statica. Se la scena in sé non prevede un movimento, gli attori riducono al minimo l’espressività e raggelano l’emotività.
Se è vero che la messa in scena risulta irrigidita in una funzione quasi astratta della rappresentazione, è anche vero che “Tre piani” è un’opera distante e dolorosa, che sembra condurre il regista alla ricerca di una libertà distante dal mondo che vive. La fuga in avanti è un’ipotesi di rinascita fuori dai confini della realtà, al di là del perimetro di identità, ruoli e relazioni cui sarebbero destinati. Del resto nell’intervista, Nanni Moretti aveva sostenuto: “Tre piani affronta tematiche universali, la colpa, la giustizia, la responsabilità di essere genitori, le nostre scelte e le loro conseguenze. È un romanzo talmente denso per cui io non volevo protagonismi esibiti nella recitazione, nella regia, nella sceneggiatura, musica, montaggio, fotografia, scenografia e nemmeno nell’arredamento, volevo la qualità non auto-compiaciuta. Per la recitazione non volevo spontaneità (che non considero un valore) bensì l’autenticità”. (N. Moretti, intervista cit., Cannes, 12 luglio 2021)
È il solito Moretti, che riesce a dare senso al suo modo di fare, portando alla riflessione, con un modo di rappresentare che, se mette poco in risalto i suoi attori, riesce comunque ad illustrare una storia molto efficace su ciò che accade all’oscuro dei rapporti interpersonali e all’interno di quelli intrapsichici, permettendo un ribaltamento di prospettiva. È la sua propria volontà di essere guida di personaggi che non spiccano ma si attengono al canovaccio da lui proposto. Il messaggio è il contenuto, che è quello di puntare ad abbandonare le logiche interiori per aprirsi agli altri e pensare al futuro.
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