Il prof. Vincenzo Aversano ha proposto un approccio alternativo all’etnonimo “Longobardi”.
Scrive l’autore:
“Da tempo sospettavo che l’etnico italianizzato Longobardi, senza del tutto escludere il riferimento a popoli ‘Bardi dall’alta statura’ (v. oltre), potesse avere un significato di ‘Bardi delle lanche’ in quanto abitatori di un territorio dove un fiume devia con anse dalla sua linea direzionale, quindi implicitamente allungandola nel lasciare il primitivo dritto alveo, che per un certo periodo resta ovviamente e comunque acquitrinoso, non privo di stagni e acque morte, se pur in qualche modo praticabile e sfruttabile.
Il termine germanico langa-‘vòlto’, infatti, col termine italiano lanca e a cui forse è riconducibile anche il nostro coronimo Langhe, se trasmigrato in Italia dal Nord-Europa, richiama quella tipica morfologia dei letti fluviali, caratterizzata da una serie di anse (meandri) presenti in progressione per lo più regolare lungo le aste fluviali che scorrono nelle bassure delle piane alluvionali, specie costiere e deltizie.
Da quel tempo, trovando palesemente discutibili le due principali spiegazioni correnti sul nome Longobardi (ci tornerò tra breve), mi meravigliavo di come esse venissero sopportate quasi con indifferenza da parte di pur illustri studiosi della civiltà longobardica nelle sue mille sfaccettature. Ancora più meravigliato ero (e resto) del fatto che essi per implicito ritenessero del tutto trascurabile o, nella migliore delle ipotesi, faccenda abbastanza incidentale, la risoluzione scientifica di un così fondamentale dilemma geo-storico- linguistico. Per solo esempio, in due delle edizioni più note e prestigiose della storia longobardica di Paolo Diacono, la questione viene liquidata in poche battute.
Subentrata una certa insoddisfazione per tale questione insoluta, decido di mettere penna su carta con questa prima nota, che non vuole essere una ricerca a tappeto – basata sulle fonti originali e sulle pagine toponimiche di afferenza, poche in verità rispetto alla sterminata mole di studi generali e di dettaglio, a varia angolatura, in cui si annidano – ma un’umile e ‘risentita’ proposta geo-toponimica,
che specialisti di ogni estrazione potranno poi valutare, approfondire, convalidare oppure correggere o contestare del tutto con nuove ragionevoli ipotesi decifrative: queste righe sono giustificate non da profonde competenze linguistiche, ma solo dalla modesta conoscenza in fatto di nomi locali, derivata da una lunga esperienza di ricerca universitaria.
Ciò significa che il mio approccio è ispirato per lo più a criteri di ‘linguistica esterna’: è noto infatti che il discorso sulla decifrazione dei toponimi, sempre difficile e complesso, deve essere condotto non solo con la ‘linguistica interna’ (riguardante lessico, grammatica, fonologia e simili), ma anche con quella ‘esterna’ (che dei linguaggi esamina localizzazione geografica, utilizzazione, funzione sociale, politica, religiosa, ecc.). Per venire a capo del significato dei toponimi servono comunque plurime competenze e molta umiltà, per cui ogni soluzione andrebbe quasi sempre proposta come ipotesi più probabile e mai come assoluta verità: è il nostro caso, appunto, laddove si vuole (con molti forse, condizionali e interrogativi) indicare una pista percorribile piuttosto che conclusioni rigide e irrinunciabili”.
Di seguito il lavoro completo, proposto da Vincenzo Aversano su “Rassegna storica salernitana”, Società Salernitana di Storia Patria, Nuova serie, n. 4 dicembre 2020, Francesco D’Amato Editore, pp. 9-34.
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