“FRATELLI TUTTI”
Note sull’ultima enciclica di papa Francesco tra questioni politiche e sociali
di Pasquale Martucci
Al centro dell’ultima enciclica: “Fratelli tutti. Sulla fraternità e l’amicizia sociale”, il papa si immerge nelle dinamiche umane per affrontare i conflitti e trovare soluzioni. E per fare ciò afferma di stare dentro la storia, mettendo in relazione presente, passato e futuro.
Si tratta della terza Enciclica di papa Francesco, che va al di là delle convinzioni religiose per una riflessione aperta. Dopo la “Lumen fidei” del 2013, iniziata da Benedetto XVI e scritta a quattro mani, e “Laudato si” del 2015, il Papa scrive quella da lui definita una “enciclica sociale”, che prende spunto dalle parole di San Francesco d’Assisi, quando si rivolgeva a tutti i fratelli e le sorelle per proporre una strada da seguire.
Si rileva una dura critica ai conflitti, che si ritenevano superati, al risorgere dei nazionalismi chiusi, esasperati, risentiti e aggressivi, esasperando nuove forme di egoismo e di perdita del senso sociale, mascherati da una presunta difesa degli interessi nazionali.
Ogni generazione deve far proprie le lotte e le conquiste delle generazioni precedenti e condurle a mete ancora più alte: ecco spiegata la relazione stretta tra le varie epoche storiche. Il papa non poteva che auspicare che il bene comune, l’amore, la giustizia e la solidarietà non si raggiungono una volta per sempre, ma vanno conquistati ogni giorno.
I principali elementi sono rappresentati da: una importante attualità della costruzione teologica, ovvero una grande attenzione al rapporto con ciò che accade nella società; un dialogo continuo con tutti; una sintesi rispetto alle contraddizioni della vita attuale. E di conseguenza: i concetti di fraternità e amicizia.
Si riprendono “liberté, égalité e fraternité”, mutuati dalla Rivoluzione francese, con l’accortezza che senza quest’ultima, la fratellanza, la libertà rischia di essere individualismo e l’uguaglianza possa essere solo di facciata senza affrontare i temi concreti. Ed allora la fratellanza è da intendere come strumento per riconquistare la famiglia umana di cui facciamo parte.
Quello di papa Francesco non è pessimismo, ma battaglia da combattere insieme attraverso il riconoscimento reciproco, l’uno dell’altro. Sottolinea che un mondo più giusto si raggiunge promuovendo la pace, che non significa solo assenza di guerra ma una vera azione che deve coinvolgere tutti e puntare alla riconciliazione (dialogo), in nome dello sviluppo reciproco. Da qui deriva la condanna che il pontefice fa della guerra, come “negazione di tutti i diritti”, e come uso di armi nucleari, chimiche e biologiche che servono come criterio di sopraffazione sui civili innocenti. A tal proposito, è evidente la condanna della pena di morte e il richiamo al perdono, che non significa dimenticare né rinunciare a difendere i propri diritti.
La domanda che si pone il pontefice è: quali sono oggi i grandi ideali ma anche le vie concretamente percorribili per chi vuole costruire un mondo più giusto e fraterno nelle proprie relazioni quotidiane, nel sociale, nella politica, nelle istituzioni?
Papa Francesco non poteva non entrare nello specifico della pandemia da Covid-19, che non è da considerare come un castigo divino ma come messa in evidenza delle nostre debolezze. L’emergenza sanitaria globale è servita a dimostrare che “nessuno si salva da solo” e che è giunta davvero l’ora di “sognare come un’unica umanità”, in cui siamo “tutti fratelli”. La natura chiede il conto rispetto a quello che gli uomini fanno, e ciò è quello che più di un osservatore ha rilevato in tempi di lockdown.
La soluzione del papa presuppone il riconoscimento del bene comune da tutelare, e non solo il mercato che produce solo economicismi senza la riscoperta della dignità umana.
Mi va di citare alcuni contenuti dell’enciclica, in cui si rilevano le tante storture dell’epoca contemporanea: la manipolazione e la deformazione di concetti come democrazia, libertà, giustizia; la perdita del senso del sociale e della storia; l’egoismo e il disinteresse per il bene comune; la prevalenza di una logica di mercato fondata sul profitto e la cultura dello scarto; la disoccupazione, il razzismo, la povertà; la disparità dei diritti e le sue aberrazioni come la schiavitù, la tratta, le donne assoggettate e poi forzate ad abortire, il traffico di organi. Inoltre, oggi si riscontra un deterioramento dell’etica cui contribuiscono, in un certo qual modo, i mass-media che sgretolano il rispetto dell’altro ed eliminano ogni pudore, creando circoli virtuali isolati e autoreferenziali, nei quali la libertà è un’illusione e il dialogo non è costruttivo.
Dunque, è importante quella capacità di amare secondo “una dimensione universale”: una società fraterna promuove l’educazione al dialogo per sconfiggere “il virus dell’individualismo radicale” e per permettere a tutti di dare il meglio di sé. A partire dalla tutela della famiglia e dal rispetto per la sua “missione educativa primaria e imprescindibile”. Per fare ciò occorre il volere concretamente il bene dell’altro e la solidarietà che è lotta contro povertà e disuguaglianze. Il diritto a vivere con dignità non può essere negato a nessuno, afferma ancora il papa, e poiché i diritti sono senza frontiere, nessuno può rimanere escluso, a prescindere da dove sia nato. In quest’ottica, il richiamo è a pensare ad “un’etica delle relazioni internazionali”, perché ogni Paese è anche dello straniero ed i beni del territorio non si possono negare a chi ha bisogno e proviene da un altro luogo.
Il tema delle migrazioni è centrale: le persone sono in fuga da guerre, persecuzioni, catastrofi naturali, trafficanti senza scrupoli, strappati alle loro comunità di origine, i migranti vanno accolti, protetti, promossi ed integrati. Bisogna evitare le migrazioni non necessarie, afferma il pontefice, creando nei Paesi di origine possibilità concrete di vivere con dignità. Ma al tempo stesso, bisogna rispettare il diritto a cercare altrove una vita migliore. Nei Paesi destinatari, il giusto equilibrio sarà quello tra la tutela dei diritti dei cittadini e la garanzia di accoglienza e assistenza per i migranti. Nello specifico, sono indicate alcune “risposte indispensabili” soprattutto per chi fugge da “gravi crisi umanitarie”: incrementare e semplificare la concessione di visti; aprire corridoi umanitari; assicurare alloggi, sicurezza e servizi essenziali; offrire possibilità di lavoro e formazione; favorire i ricongiungimenti familiari; tutelare i minori; garantire la libertà religiosa e promuovere l’inserimento sociale. Dal papa c’è anche l’invito a stabilire, nella società, il concetto di “piena cittadinanza”, rinunciando all’uso discriminatorio del termine “minoranze”. Ciò che occorre è una governance globale, una collaborazione internazionale per le migrazioni che avvii progetti a lungo termine, andando oltre le singole emergenze, in nome di uno sviluppo solidale di tutti i popoli che sia basato sul principio della gratuità. L’altro diverso da noi è un dono ed un arricchimento per tutti, scrive Francesco, perché le differenze rappresentano una possibilità di crescita.
Molti sono i rilievi politici: partendo dal bene comune, categoria aperta, disponibile al confronto e al dialogo, approda alla critica al populismo, che ignora la legittimità della nozione di popolo, attraendo consensi per strumentalizzarlo al proprio servizio e fomentando egoismi per accrescere la propria popolarità. Si sofferma poi sulla tutela il lavoro, “dimensione irrinunciabile della vita sociale”: l’aiuto migliore per un povero, spiega il pontefice, non è solo il denaro, che è un rimedio provvisorio, bensì il consentirgli una vita degna mediante l’attività lavorativa. La vera strategia anti-povertà non mira semplicemente a contenere o a rendere inoffensivi gli indigenti, bensì a promuoverli nell’ottica della solidarietà e della sussidiarietà.
Ci sono poi i diritti umani fondamentali, come l’esclusione sociale; il traffico di organi, tessuti, armi e droga; lo sfruttamento sessuale; il lavoro schiavo; il terrorismo ed il crimine organizzato. Forte è l’appello ad eliminare definitivamente la tratta, “vergogna per l’umanità”, e la fame, in quanto essa è “criminale” perché l’alimentazione è “un diritto inalienabile”. La politica di cui c’è bisogno è quella che dice no alla corruzione, all’inefficienza, al cattivo uso del potere, alla mancanza di rispetto delle leggi. Perseguendo una politica incentrata sulla dignità umana, assumono particolare rilevanza i movimenti popolari: veri “poeti sociali” e “torrenti di energia morale”, essi devono essere coinvolti nella partecipazione sociale, politica ed economica, previo però un maggior coordinamento, passando da una politica “verso” i poveri ad una politica “con” e “dei” poveri.
Nell’ultimo capitolo, il papa si sofferma sul tema delle religioni usate per perseguire atti “esecrabili” come quelli terroristici, dovuti ad interpretazioni errate dei testi religiosi, nonché a politiche di fame, povertà, ingiustizia, oppressione.
Francesco non poteva non auspicare un cammino di pace tra le religioni e la possibilità di garantire la libertà religiosa, diritto umano fondamentale per tutti i credenti. Una riflessione è anche sul ruolo della Chiesa, che non relega la propria missione nel privato, non sta ai margini della società e, pur non facendo politica, non rinuncia alla dimensione politica dell’esistenza, con particolare attenzione al bene comune e allo sviluppo umano integrale.
Infine, un cenno è ai social e alla comunicazione virtuale. Cito il passaggio:
“I rapporti digitali, che dispensano dalla fatica di coltivare una amicizia, una reciprocità stabile e un consenso che matura col tempo, hanno una apparenza di socievolezza”. Per il papa “non costruiscono veramente un noi ma solitamente dissimulano e amplificano lo stesso individualismo che si esprime nella xenofobia è nel disprezzo dei deboli. La connessione digitale non basta per gettare ponti, non è in grado di unire l’umanità”.
In sostanza un’enciclica molto apprezzata.
È da rilevare qualche critica da parte di alcuni gruppi femminili e femministi, che hanno disputato sulla parola “fratelli” nel titolo, perché non tiene conto delle donne, la “spina dorsale della Chiesa”, e sembra rivolgersi essenzialmente al mondo maschile.
Alcuni teologi hanno rilevato che negli intenti del Papa il termine “fratelli” comprende ogni essere umano e va inteso in senso estensivo. Non ci sarebbe volontà di escludere le donne o metterle in secondo piano. L’interpretazione è che “fraternità ed amicizia sociale”, ovvero il sottotitolo dell’enciclica, unisca uomini e donne, e rappresenti un affetto che si instaura tra persone, con forme di aiuto e con azioni generose nel momento del bisogno. Un affetto disinteressato verso gli altri esseri umani, a prescindere da ogni differenza e appartenenza, anche sessuale.
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