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Riflessioni sul libro: Luigi Leuzzi, “Megalitismo nel Cilento e nella Lucania Occidentale”, Edizioni CPC, 2022.


 

Il testo di Luigi Leuzzi è un contributo importante per la ricostruzione di una storia millenaria, che si sofferma sul megalitismo, riprendendo i suoi ventennali studi sul tema e comparando “menhir” (pietre conficcate sul terreno in modo verticale) e “dolmen” (lastre poste in orizzontale) presenti nel territorio italiano con quelli del Cilento. L’assemblaggio di questi blocchi in pietra da parte dell’uomo ripropone simbolicamente rappresentazioni falliche o mammellari e uterine, ma anche l’antro della caverna che in natura è oggetto di culto e di rituali funebri, una cultura che si rifà ad espressioni religiose con i suoi riti di fecondità, fertilità, passaggio.

Questi megaliti sono stati analizzati e studiati, producendo interessanti teorizzazioni ed ipotesi interpretative che riconducono soprattutto all’elemento femmineo cilentano, costituito dalla Grande Madre, ovvero i simboli e i significati che costituiscono un’identità territoriale e il suo Genius loci.

L’autore attraverso riscontri sul campo ha individuato un nume femminile che propone un sistema matriarcale. Facendo un parallelismo con riscontri molto più recenti, anni di ricerca sul campo con Antonio Di Rienzo, ho verificato la congruità di tale tesi in quanto la devozione religiosa e l’attaccamento alle Madonne hanno pervaso la cultura di questa terra, ovvero la posizione di Leuzzi sulla Grande Madre. La novità è che questi caratteri al femminile fossero presenti già in una cultura millenaria. L’autore spiega la presenza della dea Cilens, che governava il passaggio giorno-notte e viceversa, di cui si è occupato forse per primo l’archeologo Fabio Astone: è la riproposizione della divinità etrusca, che potrebbe riguardare anche un’ipotesi etimologica sull’origine del termine Cilento, andando oltre anni di digressioni che hanno poco considerato la presenza della popolazione etrusca autoctona che si era diffusa in Campania, una cultura appenninica forse proto-villanoviana.

Sostiene l’autore che a volte i megaliti servivano a “targare il sole secondo finalità astrologiche o più semplicemente a costituire un calendario litico che consente di prevedere le stagioni e orientare le pratiche cerealicole”. Chiaramente parliamo di culture con al centro il ruolo della donna come custode delle famiglie e dei piccoli nuclei di abitanti.

Ma tanti sono i simboli megalitici individuati da Leuzzi e riportati nel libro: “u mantu ra Maronna” (Monte Sacro), “a ciampa re cavallo” (Monte Sacro), “Solco della fecondità” / “Antro della Civitella” (Civitella), “a preta ru mulacchiu” (Monte Stella), “a preta re l’ommu” e la dea Civetta (Cervati), l’Antece a Costa Palomba. Ci sono altri riferimenti femminili “mammellonature”, oppure “porta utero”. Infine, il complesso megalitico di San Mauro La Bruca: la Mannina di San Nazario al Nilo e sculture dedicate ad Hera Argiva o alle Madonne del territorio a partire dalle sette sorelle come luoghi simboli di pellegrinaggio.

Entrando nello specifico, sul Santuario del monte Stella è il culto della Grande Madre. Dov’è “a preta ru mulacchiu”, nello stretto corridoio “dromos”, le donne strofinavano il ventre e se rimanevano incinte, il figlio era chiamato “ru mulacchiu”, fecondato dalla pietra. Si trattava dei figli “ra preta”, che divenuti adolescenti in quel luogo realizzavano il loro percorso iniziatico e di rinascita verso la vita comunitaria.

Ad ogni modo, rileva con efficacia l’autore, accadeva nel passaggio da una condizione di nomadismo ad una stanziale, quella delle civiltà cerealicole. È l’espressione di una “Civiltà Egeo-Anatolica” simile a quella del Gaudo o del Rinaldone.

Sulla Civitella c’era poi una vasca lustrale che evocava il rito di “abluzione, iniziazione e purificazione”, mentre un monolite ovoide rappresenta il “solco della fecondità”.

In cima al Santuario del Monte Sacro c’è un menhir naturale: “a ciampa re cavallo”, dove i pellegrini gettano oggi monete, quando in precedenza lanciavano nove sassolini (anche qui il nove come i mesi del periodo di gestazione), per propiziare una felice gravidanza. Un altare primitivo era utilizzato per ospitare le cente, utilizzato anche per pratiche taumaturgiche: i bambini con il mal di pancia giravano nove volte (ancora il numero nove) intorno allo pseudo dolmen per provare sollievo. Nella zona del Monte dell’Idolo (Gelbison) c’è un megalite che svolge la funzione di puntatore astrologico adatto a targare le stagioni. Leuzzi insieme all’archeo-astronomo Nicola Giuliano seguono la tesi delle misurazioni Azimut per individuare la funzione dei vari megaliti.

A Costa Palomba poi c’è l’Antece, la raffigurazione divinizzata di un guerriero/eroe. L’autore studia con grande cura le ipotesi interpretative, che tante divisioni producono nelle varie posizioni degli archeologi. Il Genius loci suggerisce l’ipotesi di una prefigurazione di San Michele Arcangelo, venerato a Sant’Angelo a Fasanella, immagine che rinvia al dio celtico Mercurius-Wotanaz. L’arma che impugna è specifica del periodo tra il XVII e il XV secolo a.C. Però la vasca lustrale presenta frammenti di una capeduncola per l’offerta di cereali, che però riconduce all’età del bronzo. Fa pensare al culto di una divinità al femminile (il periodo dell’economia cerealicola). La divinità maschile è successiva, quando un nuovo ordine soppianta la civiltà matrilineare pacifica e comunitaria e riconduce al guerriero e dunque ad un’organizzazione sociale differente. Le divinità al femminile del territorio sono Hera, Atena Poliade, Cibele, Demetra.

Sull’Antece c’è chi individua il dio Alburnus, venerato sul monte Panormo (Sicignano degli Alburni), ma si tratta di una divinità introdotta dai romani. L’autore è di diverso avviso, distingue tra scultura rupestre e il complesso megalitico, anche grazie alle risultanze di Nicola Giuliano, che ricondurrebbe al culto della Grande Madre e della fertilità. Epoche differenti con funzioni socio-culturali differenti. Le suggestioni dell’autore e i riscontri di altri studiosi necessitano comunque di ulteriori approfondimenti archeologici.

Un passaggio importante del volume è l’accettazione di un’identità al femminile, con la donna che si occupa di famiglia e comunità: la cura dei figli, l’educazione, l’economia domestica, la preparazione dei ragazzi alle sfide dell’età adulta; la realizzazione di misture e pozioni che trovava in natura con intenti curativi, l’esempio tramandato sono le fatture e i malocchi, che si sono riscontrati in anni molto prossimi a noi. Esercitava tutte le funzioni dalla nascita alla morte, mammane e prefiche, districandosi tra norme e tradizioni. Le corrispondenze ancora attuali sono, nell’iconografia mariana, la Madonna del Granato o il Santuario di Grottaferrata a Rofrano, che evocano il culto della fertilità, della morte e della rinascita.

Il volume si avvale di una ricca documentazione fotografica che pone in rilievo le tante risorse archeologiche già evidenziate, che sono confrontate con altri megaliti da Malta, alla Sardegna, alla Sicilia, cui dedica particolare attenzione.

Nella parte finale del libro, Leuzzi propone un intenso scambio di riflessioni con il prof. Vincenzo Di Gironimo, sulla rilevanza di questi esempi di un passato che ancora vive e rappresenta l’anima dei luoghi. Lo studioso sostiene che molti importanti monumenti megalitici esistevano addirittura duemila anni prima delle Piramidi d’Egitto (che risalgono a 2.500 anni a.C.), e dunque la cultura dei megaliti si diffuse dal V millennio a.C. e perdurò fino all’età del ferro.

I siti megalitici del Cilento sono riscontrabili nelle aree di: Monte della Stella, Monte Sacro, Moio della Civitella, Costa Palomba, e tanti altri esempi territoriali che andrebbero fatti oggetti di più approfonditi studi e ricerche. Infatti, il senso del lavoro che ogni studioso compie è di proporre ipotesi, sperando che le stesse possano essere affinate da altri che opereranno in futuro sulla scorta delle evidenze che attualmente paiono ad ognuno determinanti.

Tutto ciò serve per giungere ad una conoscenza sempre meglio formulata.

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