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Il destino del porco

di Pasquale Martucci

 

A gennaio, quando è ormai ben grasso, l’animale è prelevato con l’inganno dalla donna che lo ha sempre blandito con carezze, cibo e parole affettuose, e ora lo tradisce dopo averlo sedotto. Il suo incedere è incerto perché avverte un ambiente diverso che presto gli sarà fatale: solo quando si accorge del suo destino eleva al cielo grugniti altissimi e lancinanti. L’acqua bolle in casa da tempo, le persone si preparano all’evento. La donna ora fugge e non lo protegge più, si è ritirata piangendo con le altre in attesa di successivi lavori. Il porco è trascinato, disteso, legato dagli uomini su uno scanno in attesa di colui che officerà il rito. Questi, con lo scannaturo lo uccide: è un colpo secco alla carotide con una lama tanto lunga da raggiungere il cuore. E’ l’apoteosi degli astanti quando gli ultimi rantoli s’alzano al cielo, è l’esaltazione di chi ha avuto coraggio e forse particolari poteri. E’ in genere altro dalla famiglia, quello che ha compiuto la vendetta e sancito la morte del padre/maiale, nella visione freudiana del mito. I giovani esultano, l’anziano patriarca in disparte osserva la scena e la sua fine. L’uccisione dell’animale e la raccolta del suo sangue serve a tenere in vita il porco e il suo padrone. Al lutto ora segue la festa, lo scatenarsi degli istinti e la soddisfazione in una sorta di pentimento, riconciliazione, trionfo. E’ sancita l’identificazione con l’animale/padre, l’ambivalenza amore/odio nei suoi confronti, il banchetto finale come aggregazione e formazione di nuovi legami tra parenti e amici, nonostante gli inevitabili sensi di colpa. Il mito ora è la lotta contro la società patriarcale e l’avvento di un modello orizzontale fraterno, in cui scompaiono le figure determinanti e fondamentali dell’esistenza umana.

(Il testo è frutto di suggestioni e riflessioni tratte dalla lettura di: Antonio Libutti, “Mito e rito dell’uccisione del porco”, in AA.VV., “Porco e Aglianico”, Basilicata Editrice, 1984, 79-91)

 

 

Un rito arcaico, un evento importante nella cultura contadina che risale ad epoche antiche, una festa pagana che costituiva non solo una necessità ma un momento di socialità e di aggregazione comunitaria, una organizzazione tra i membri della famiglia e del vicinato, in cui ognuno aveva un ruolo e un compito da svolgere: tutto ciò era l’uccisione del maiale.

La famiglia si occupava della sua crescita e lo faceva con la massima cura, conscia che l’animale serviva a dare sostentamento per tutto l’anno; poi nei mesi freddi tra dicembre e gennaio, proprio per poter conservare la carne, e di solito all’alba nello spiazzo adiacente il porcile, si concretizzava il rito. Cruento era lo sgozzamento con il coltello: il primo sangue uscito doveva cadere a terra, a mo’ di ringraziamento alle divinità generalmente femminili (Demetra), perché il porco significa fertilità.

Era quell’evento un momento di unione: il più capace del gruppo uccideva e stagliava (sezionava) il porco e, a lavoro ultimato, si formavano porzioni di carne che venivano distribuite al vicinato (lu spitu o lu rato).

Dopo l’uccisione dell’animale si procedeva con grossi coltelli alla raschiatura delle setole, ammorbidite con acqua bollente; dopo si praticavano dei tagli sulle zampe posteriori per infilare tra i tendini un attrezzo di legno a forma trapezoidale che permetteva di appendere l’animale e squartarlo; quindi le parti si pulivano, si disossavano, si tagliavano e si utilizzavano in vari modi; infine le donne, dopo aver lavato gli intestini che si utilizzavano per gli insaccati, preparavano il pranzo a base di soffritto al quale partecipavano coloro che avevano contribuito all’evento.

Del maiale non si buttava niente: si conservava il grasso, i cicoli, il lardo, la pancetta, le cotenne, le salsicce, le soppressate, i capicolli, il prosciutto; le ossa erano poste in salamoia e cucinate con le verdure durante l’anno; parti della testa, orecchie, zampe, trippa erano ugualmente utilizzate. Infine, con il sangue, cotto a bagnomaria, si preparava il “sanguinaccio”.

Da un racconto di Orsola Orlando, il sanguinaccio nell’antica tradizione si preparava con: prugne, fichi, pere, bolliti in acqua; mandorle abbrustolite, pestate e poi aggiunte al liquido precedentemente preparato, insieme al sangue; il vino cotto era introdotto in seguito, continuando la cottura; infine si mescolava al tutto: zucchero, chiodi di garofano, cannella, un po’ di sugna. Alcuni aggiungevano del pane grattugiato. Andava mangiato freddo. (cfr.: AA.VV., 1985, “Feste pagane e feste cristiane nella tradizione culinaria del Cilento”, CI.RI. Cilento Ricerche, 18)

Nella mitologia, il maiale rappresentava una figura innocente attraverso la quale gli dei mandavano messaggi agli uomini, come nel caso dei sacerdoti etruschi che con il fegato di porco praticavano la scienza aruspicina, ossia la previsione del futuro. Il grasso di maiale, la sugna, era simbolo di fertilità presso le spose latine, che vi ungevano gli stipiti della porta di una nuova casa per assicurarsi fortuna e fecondità. Al contrario, nell’iconografia cristiana, il porco rappresenta il peccato: infatti, come il maiale ama rivoltarsi nel fango così il peccatore si crogiola nella sporcizia dei suoi peccati.

Molti anni fa le credenze e i miti erano l’essenza stessa delle popolazioni contadine, se pensiamo che nelle campagne la vita era regolata soprattutto dai ritmi della luna, che ha sempre affascinato l’uomo che in essa ha letto l’allegoria dell’instabilità della fortuna e dell’umore delle persone. La gente di campagna le ha sempre riconosciuto influssi su coltivazioni e allevamenti: nella vita agricola tradizionale, la maggior parte dei vecchi contadini teneva in grande considerazione le fasi lunari nelle diverse pratiche, quali: semina, innesti, potatura, raccolta, vinificazione, taglio della legna. Le differenze sono importanti: la luna crescente o luna nuova si verifica quando la superficie visibile della luna è in fase di crescita, fino alla fase di luna piena, e si riconosce dalla posizione della gobba della mezzaluna volta a ovest; la luna calante o luna vecchia è quando la superficie della luna è in fase di calo, con la gobba della mezzaluna volta a est, e va dalla fase di luna piena alla completa estinzione della parte visibile.

E, secondo un’antica tradizione, lo stesso maiale si doveva uccidere per iniziare a lavorare le sue carni solo a luna calante.

Molto probabilmente il maiale proveniva da una specie selvatica simile al cinghiale: il suo nome è porcus maialis e si farebbe risalire all’abitudine di sacrificare l’animale, castrato e grasso, alla dea Maia. Il maiale domestico, di natura onnivora, predilige un ambiente ricco di acqua e vegetazione, e ama nutristi soprattutto di ghiande e faggiole. Dunque, l’antenato più prossimo del maiale, il cinghiale, era diffuso in misura considerevole già dieci milioni di anni fa, sia in Europa che in Asia e Nord d’Africa. Il cinghiale rappresenta la personificazione del sole, ed è associato alla mascolinità nelle sue manifestazioni estreme quali: l’aggressività, il coraggio, la lotta, la sete di sangue, l’intemperanza, la gola, l’immoralità e la dissolutezza. Il “maiale bianco” era considerato un animale lunare, associato alla femmina ed alla fertilità.

Nel VI sec. a.C., presso le civiltà dell’Antica Grecia, il maiale rivestiva un ruolo importante non soltanto nella sacra sfera del rito religioso, in quanto vittima sacrificale offerta agli dei per ingraziarsi il loro favore, ma anche nell’ambito terreno e “profano” della cucina. La carne di maiale, infatti, era consumata in abbondanza: prosciutti, salsicce, braciole e zampetti erano alla base di gustosi piatti, immancabili in lauti banchetti. Anche i Romani avevano un’alta considerazione del maiale, tanto da “impiegarlo” come mezzo di comunicazione tra dei e uomini: gli aruspici etruschi e latini cercavano segni della volontà divina nelle viscere dell’animale. Nel periodo medioevale e fino al XVIII secolo, i suini erano allevati allo stato brado nei boschi di querce e castagni: si trattava di animali magri e dalle lunghe zampe, di pelle scura, rossastra o nera con setole dritte e lunghe sulla schiena.

Soggetta a diverse valenze simboliche, la carne di maiale ha sempre rappresentato un’importante risorsa alimentare, soprattutto per i ceti più umili, anche perché commestibile in tutte le sue parti.

Nella seconda metà del secolo scorso c’è stata l’inevitabile crisi in quanto l’animale è stato considerato poco salutare per l’uomo, anche se negli ultimi anni stiamo assistendo ad una decisa inversione di tendenza della ricerca scientifica, che ha rivalutato la carne di maiale e sostenuto come essa sia uno degli alimenti più digeribili e completi di cui l’uomo possa cibarsi.

2 Responses to “Riti&tradizioni – La festa del maiale”

  1. Gaetano Barbella

    Dott. Pasquale Martucci, il maiale, si meraviglierà, ma ha un risvolto da non credere, similmente a un Giano bifronte, però correlato all’uomo.
    Esaminando alcune profezie del celebre Michel Nostradamus si rivela nientemeno un «porco metà uomo». Le cito di seguito (tradotte dal francese dallo scrittore Renucio Boscolo) tre quartine delle sue Centurie:
    N. I-64
    « Di notte il Sole penseranno d’aver visto
    Quando il porco metà uomo si vedrà,
    Assordante canto, battaglia in Cielo confinato, iniziata,
    E animali spaventosi la gente parlare udirà. »
    N. III-34
    « Quando il mancare del Sole allora sarà
    Sopra il pieno giorno, il mostro sarà visto (« il porco metà uomo »)
    Tutto diversamente lo si interpreterà
    Per costosità non ha guardia, per nulla non avrà provvisto. »
    N. III-5
    « Durante la lunga mancanza di due grandi Luminari
    Che sopraggiungerà entro Aprile e marzo
    O qual rarità! Ma i due grandi debonnari (il Rebis « il porco metà uomo »)
    Per terra e mare soccorreranno tutte le parti.»
    Probabilmente si tratta di avvenimenti escatologici e il porco metà uomo potrebbe riferirsi alla «bestia», di cui si parla nel libro dell’Apocalisse di Giovanni.
    Ritengo che il teatro degli avvenimenti apocalittici non sia effettivamente il nostro della vita quotidiana, ma un altro corrispondente del genere spirituale, tuttavia con effetti altrettanto disastrosi come raccontato nel testo biblico di Giovanni. Chissà che la pandemia dei nostri giorni sia uno di questi effetti. Nel corso dei millenni delle epoche della nostra terra, l’Apocalisse si attuata per fasi, é stato sempre così fino ad oggi.
    Meraviglia capire dalle suddette profezie che, se dapprima (nella I-64) il «porco metà uomo» è spaventoso, poi si rivela provvidenziale perché “soccorrerà” chi dovrà salvarsi dai cataclismi apocalittici (nella III-34 e III-5)
    Ma aspettiamo a valutare in questa ottica l’Apocalisse di Giovanni, cioè considerando il lato del “mangiare”, poiché l’uomo si nutre della carne del maiale (effettivamente il «porco metà uomo», cioè la «bestia» finisce per essere oggetto di nutrimento, una sorta di «eucarestia»). Questo per capire che la carne è contemaplata nell’Apocalisse come oggetto di banchetto vero e proprio. Stiamo a vedere.
    Partiamo dal capitolo 11 relativo in cui si parla dei due «Testimoni vestiti di sacco».
    Descriviamoli così come ci appaiono leggendo il suddetto capitolo 11, un numero significativo per indicare il centro del libro dell’Apocalisse che è di 22 capitoli. Come a far capire il senso e vero scopo di questo testo sacro che chiude la parata delle scritture del Nuovo Testamento.
    I «Testimoni vestiti di sacco», (Ap 11,3) sono i «due olivi e due lampade che stanno davanti al Signore delle terra» (Ap 11,4) che “terrorizzano” gli abitanti della terra e causa di ciò sono uccisi (l’uomo non vuol saperne delle cose di Dio). Ma dopo «tre giorni e mezzo», da che erano deposti «sulla piazza della grande città» (Ap 11-8), poi risorgono (insieme alla «grande città» che sono la stessa cosa, in seguito ad un occulto “matrimonio” che avverrà poi.
    Di qui iniziano le “feste” con “cene” succulente che vengono allestite, dai vaghi riflessi di quella dell’Eucaristia, cioè dell’«ultima cena» del Signore con i suoi apostoli prima della sua crocifissione.
    La prima vede al banchetto la «bestia e i dieci re» che si nutrono della carne della prostituta, simbolo della «città grande», ossia la Terra, astrale naturalmente (Ap 17,16-18).
    La seconda è l’ «Agnello» a banchetto che si nutre in modo “camuffato” delle carni della «bestia e dei 10 re» attraverso «tutti gli uccelli che volano in mezzo al cielo» (Ap 19.17-18), (gli angeli servi di Dio e dell’Agnello) perché viene detto che l’ «Agnello li vincerà » (Ap 17,14). Altrimenti quali portate saranno quelle del banchetto della “cena” delle nozze dell’«Agnello» con la sua sposa, che prima era la «città grande» (la prostituta) e poi la «nuova Gerusalemme» (Ap 21,9)? Si capisce che è l’agnello-bestia di terra che si riscatta e poi diventa simile all’Agnello di Dio, il modello da imitare (perché si sta parlando dell’uomo rigenerato: l’Apocalisse è un percorso iniziatico). Si badi che tutte questi cambiamenti si spiegano con la raccomandazione di Gesù quando dice: . (Ap 22,6-8)
    Tutto ciò che ho detto e altro disorienta, e può sembrare blasfemo, ma la spiegazione è tutta in quel «porco meta uomo» di Nostradamus.
    Si tratta di una serie di fasi depurative dell’uomo in continua crescita interiore con degli approcci matrimoniali per gradi del buono e cattivo in lui, e sotto le coperte è il «porco metà uomo» che impera.
    Cordialità
    Gaetano Barbella

    • Pasquale Martucci

      La ringrazio per l’intervento. Del resto è sempre un piacere leggere associzioni di pensiero che producono riflessioni spesso non comuni. La saluto cordialmente. Pasquale Martucci

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