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Salerno longobarda

di Pasquale Martucci

 

Nell’anno 849, millecentosettanta anni fa, Salerno divenne uno dei due principati longobardi del sud; l’altro era Benevento. Fu uno dei momenti più importanti della storia di questa città.

Sebbene il suo territorio fosse abitato fin dalla preistoria, è intorno al VI secolo a.C. che si hanno le prime testimonianze di un insediamento etrusco nei pressi del fiume Irno; nel V secolo a.C., la città fu occupata progressivamente dai sanniti ed entrò nella sfera commerciale delle città greche. In epoca romana, le condizioni non furono molto favorevoli; poi giunsero i Bizantini e Salerno restò sotto il loro controllo fino al VI secolo d.C.. Dopo una lunga lotta tra Bizantini e Longobardi, nel 646 la città cadde in mano a questi ultimi: faceva parte del Ducato di Benevento, era il capoluogo di un vasto gastaldato (distretto amministrativo), i cui confini raggiungevano a sud il fiume Sele, e conobbe un periodo di grande ricchezza durato più di cinque secoli.

Il ducato beneventano era geograficamente distante dal potere centrale di Pavia e aveva una grande autonomia, ad eccezione di interventi del re quando si verificavano episodi di ribellione al potere costituito. E ciò si concretizzò quando il figlio di Gisulfo II si sottomise ai franchi: il re Desiderio fu costretto ad intervenire e a nominare duca Arechi II, suo parente. Era l’anno 758.

Con la conquista di Pavia da parte dei Franchi, il duca beneventano si accreditò in chiave anticarolingia come legittimo erede della tradizione longobarda. Nel 774, Carlo Magno sconfisse Desiderio e sottomise la Longobardia, ad eccezione proprio del ducato di Benevento; Spoleto diventerà territorio del Papato. Arechi si autoproclamò principe di Benevento, per sottolineare come egli era divenuto il “primo” della sua gente: avrebbe continuato ad avere autonomia pur versando tributi ai Franchi. I suoi successori esercitarono lo stesso potere e mantennero il titolo di principi.

Arechi fu ricco e potente: curò le cerimonie di corte; edificò chiese e monasteri; ospitò letterati ed uomini di cultura; ampliò Salerno verso sud e costruì un palazzo e la chiesa di Santa Sofia. Il suo intento era strategico: da un lato intendeva contenere il predominio napoletano, dall’altro voleva affermare l’autonomia e l’indipendenza del suo dominio. La città, destinata ad avere un ruolo centrale, fu dotata di una nuova cinta muraria e vide l’edificazione di numerose opere, tra cui la sontuosa reggia, della quale rimangono tracce nel centro storico, un edificio a cui si affiancava la Cappella Palatina (chiesa di san Pietro a Corte).

Salerno doveva diventare il centro in cui confluivano i traffici commerciali attraverso la via Annia, che collegava Capua a Reggio. Arechi trasformò un piccolo “castrum” in una sede principesca anche se la capitale del principato rimarrà Benevento. Salerno non fu solamente una residenza del principe ma l’intenzione era quella di trasformarla in una civitas con i caratteri e la dignità di una vera e propria capitale. I suoi successori, in particolare Sicone, condussero spedizioni contro Napoli nell’831. Sicardo combatté Napoli, occupò Stabia  e Torre e conquistò Amalfi, una città famosa per i suoi rilevanti commerci marittimi. Il duca di Napoli chiese l’intervento dei Saraceni ed indusse Sicardo alla pace nell’836.

Nell’849, il Principato di Salerno divenne indipendente da Benevento, acquisendo i territori del Principato di Capua, la Calabria settentrionale e la Puglia fino a Taranto. In precedenza, nell’839, con la morte di Sicardo, Radelchi si proclamò principe ed esiliò i membri dell’aristocrazia beneventana. Dauferio venne a Salerno, che diventò la sede di una cospirazione volta a deporre Radelchi, e propose ai nobili locali la liberazione di Siconolfo, fratello di Sicardo, per proclamarlo principe. Questa decisione causò l’inevitabile guerra civile, che si protrasse per un decennio. Siconolfo sposò la sorella di Guido, il duca di Spoleto, potente personaggio legato al regno carolingio d’Italia, che favorì l’intervento del principe dei Franchi Ludovico. Nell’849, quest’ultimo pose fine al conflitto imponendo la divisione del principato in due parti: Benevento sotto la sovranità di Radelchi e Salerno di Siconolfo. Il trattato sancì il riconoscimento della creazione dei due territori, ma di fatto riguardava una concessio di Radelchi in favore del principe di Salerno. L’oggetto della concessione era la pace su tutto il territorio del ducato, in ogni gastaldato e distretto. La potestà di Siconolfo e dei suoi successori non sarebbe stata ostacolata e di fatto Salerno avrebbe avuto le stesse prerogative istituzionali di Benevento. Le clausole giuridiche riguardavano i gastaldati, le chiese e i monasteri, le proprietà in genere. Importante era l’intesa sull’alleanza e sul reciproco soccorso in caso di attacchi saraceni.

Il territorio longobardo era suddiviso in aree più ristrette, dette gastaldati o contee, per una migliore gestione del potere. Ognuno di questi distretti era amministrato autonomamente da un funzionario, il gastaldo, il cui potere derivava direttamente dalla nomina del duca/principe: il ceto sociale di provenienza di questi ufficiali era quello dell’aristocrazia e delle famiglie signorili longobarde, che da tempo erano radicate nel territorio e che avevano saputo ritagliarsi un proprio spazio di autorità e influenza agli occhi della popolazione locale.

Due erano le aree geografiche che formavano il principato di Salerno: la prima sotto la sua diretta dipendenza, ovvero le fasce territoriali che si sviluppano intorno alla città prevalentemente verso sud-est, il salernitano e parte del Cilento, includendo la Lucania e la Calabria settentrionale cosentina; la seconda, invece, contava Capua, la piana del Volturno e la vallata del Garigliano ed era territorialmente più ampia, anche se più difficile da controllare.

Con la nuova dignità di capitale, Salerno si trasformò nella sede, unica e permanente, di un potere sovrano il cui fulcro era il palazzo; vide una rapida crescita, protetta dalle città campane settentrionali e proiettata verso i territori italo-greci, con i quali aprì i rapporti commerciali, conquistando un’importanza politica, oltre che economica, sempre maggiore.

L’economia dell’epoca era essenzialmente agricola. Il clima, oltre ad essere tipicamente mite, per la maggiore estensione delle selve era più umido. I terreni erano vergini e fruttavano molto, anche se la mancanza di concimi e l’assenza dell’avvicendamento delle colture provocavano non pochi problemi, in una agricoltura di tipo estensivo. Si coltivavano cereali, ortaggi e legumi; molta importanza aveva anche la produzione di foraggi, coltivati per gli animali da stalla; pascoli e prati erano centrali nell’economia agricola del tempo, per l’allevamento di animali piccoli, quali pecore, capre e suini. Gli equini erano più numerosi dei bovini, perché usati come mezzo di trasporto e per le guerre. Grande era l’abbondanza di piante arboree, di cui alcune sorgevano spontaneamente nei boschi, come i castagni. La vite era diffusa anche se la sua coltivazione richiedeva l’anticipazione di capitali e un lavoro molto scrupoloso; l’olivo, invece, prima dell’anno mille, era coltivato di rado. Allora venivano stipulati contratti, definiti “ad pastinandum”, che non prevedevano inizialmente il pagamento del censo per l’affittuario; in seguito si divideva o il prodotto a metà, oppure il terreno.

Nell’XI secolo la città raggiunse il massimo dello splendore e della ricchezza. L’artefice fu sicuramente il principe di Salerno Guaimario IV, che attuò una politica di espansione in tutto il Mezzogiorno con l’aiuto di contingenti Normanni. Nel 1032 occupò Sorrento annettendone il ducato, nel 1037 il Principato di Capua e il Ducato di Gaeta e nel 1039 occupò Amalfi. Guaimario governava anche sul Ducato di Puglia e di Calabria. L’unica città esclusa fu Napoli.

Salerno era la capitale di un vastissimo territorio, che le permise di raggiungere una ricchezza mai conosciuta nei secoli precedenti; inoltre per la prima volta affermò definitivamente la sua vocazione marinara. Il principato tuttavia era scosso dalle continue incursioni dei Saraceni e da lotte nei confronti delle potenze limitrofe, che di volta in volta chiedevano aiuto alla nuova potenza normanna che si affacciava nel territorio. Quando nel 1052 Guaimario venne assassinato, gli succedette il figlio Gisulfo II, che ingaggiò più di una contesa con i Normanni. Fu Roberto il Guiscardo della famiglia d’Altavilla a sposare prima Sichelgaita, la sorella di Gisulfo, e poi ad espugnare la città e a porre fine al potere longobardo. La città acquistò nuova vitalità con i nuovi padroni: venne costruita una nuova reggia, Castel Terracena, ed il Duomo in stile arabo-normanno, dedicato all’Apostolo Matteo, di cui si conservano ancora le reliquie nella cripta.

Il merito dei principi longobardi fu di avviare lo sviluppo economico e sociale della città, anche se Salerno aveva condizioni naturali tali da poter favorire il suo popolamento ed incrementare la sua economia ed il suo commercio. La città, unico porto importante del ducato longobardo, era dotata di vaste e fertili campagne circostanti, naturale mercato dei prodotti; si trovava inoltre in una posizione geografica importante, nel centro del bacino del Mediterraneo, e pertanto felice, sia per il commercio interno che per quello estero. Oltre a questi vantaggi naturali, il suo sviluppo fu dovuto alle relazioni con l’Occidente bizantino, con i Musulmani, con Amalfi, ovvero la città che contribuì ad insegnare le tecniche commerciali di cui i Longobardi erano completamente digiuni.

Salerno attrasse soprattutto i mercanti forestieri che si recavano entro le sue mura per acquistare i suoi prodotti agricoli; poi la Scuola Medica, la cui fondazione risale al IX secolo e rappresenta la prima istituzione medica dell’Europa cristiana, e la presenza delle reliquie di S. Matteo contribuirono a rendere sempre più importante questa città.

Concludo con le parole di Antonella Sparano:

l’intrecciarsi di varie influenze, come quelle arabe e bizantine principalmente, creò una pienezza di vita civile e morale (…) che ci appare tanto più meravigliosa quanto più isolata nella rude vita feudale del tempo. In seguito, con la conquista normanna, Salerno fu a capo del più vasto potentato dell’Italia meridionale e poté apparire più ricca di agiatezza, solo perché poggiò sulle solide basi gettate dai principi longobardi.

 

Riferimenti bibliografici:

  1. P. Cantalupo, “Dalle invasioni barbariche alla guerra del vespro”, in P. Cantalupo, A. La Greca, “Storie delle terre del Cilento Antico”, Ed. C.P.C., 1989.
  1. I. Gay, “L’Italia meridionale e l’Impero Bizantino dall’avvento di Basilio I alla resa di Bari ai Normanni (867-1071)”, Firenze 1917.
  2. G. Racioppi, “Storia dei popoli della Lucania e della Basilicata”, 2 voll., Roma, Loescher, 1889.
  3. M. Schipa: “Storia del Principato longobardo di Salerno”, in Archivio storico napoletano, XII fascicolo I – 1887. Ora in F. Hirsch, M. Schipa, “La Longobardia meridionale (570-1077)”, a cura di N. Acocella, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1968.
  4. A. Sparano, “Agricoltura, industria e commercio in Salerno longobarda”, Annali Facoltà Lettere e Filosofia, Istituto Editoriale del Mezzogiorno, Napoli vol. X – 1962-1963.

 

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