In questa seconda parte dello scritto sulla ricerca qualitativa, entro nello specifico del lavoro realizzato sul campo nel territorio cilentano.
Alcuni decenni fa, Cirese, riprendendo il lavoro: “I contadini del sud” di Rocco Scotellaro e l’introduzione al libro di Rossi Doria, condividendo l’assunto che i contadini dell’Italia meridionale erano un gruppo sociale “omogeneo e antico per condizioni di esistenza, per i rapporti economici e sociali, per la generale concezione del lavorio e della vita”, affermò che il modo migliore per condurre una ricerca in questo ambito fosse proprio quella di utilizzare “la via più diretta dell’intervista e del racconto autobiografico”. (A. M. Cirese, Intellettuali, folklore e istinto di classe, Ed. Einaudi, Torino 1976, p. 55)
Seguendo anche questa indicazione, i primi lavori di ricerca sul campo hanno considerato la comunità contadina e i suoi valori che si sono consolidati nello stretto legame uomo-territorio.
Infatti, l’uomo cilentano è un contadino che svolge un duro lavoro nei campi dall’alba al tramonto: in tale attività è coinvolta l’intera famiglia che pensa di poter un giorno acquisire la proprietà di un terreno da intendere come occasione di miglioramento anche se solo economico. I lavori differenti, quelli artigianali, l’allevamento di animali, la pesca, l’edilizia, lo stesso commercio, non rappresentano significativi cambiamenti di status socio-culturale né modifiche di mentalità e di comportamenti. (Cfr.: P. Martucci e A. Di Rienzo, Identità cilentana e cultura popolare, Ed. CI.RI., Fornelli C.to (SA) 1997)
Per realizzare anche le ricerche successive, ho dialogato con quelle persone che meglio potessero interpretare gli elementi legati ai concetti di identità e comunità: sono ritornato dai protagonisti solo quando questi erano particolarmente dotati nell’arte del dialogo e del racconto delle vicende del territorio, oltre che per una verifica degli stessi dati, delle informazioni che si prestavano ad alcuni equivoci. Gli intervistati sono stati stimolati a narrare il presente e il passato, la vita di un tempo e le differenze rispetto all’oggi, alla moderna società.
L’antropologo Daniel Miller ha parlato di “interviste aumentate”, cioè valutare non solo ciò che le persone dicono ma anche ciò che fanno. Ciò comporta di agire nella complessità relazionale definendo gli obiettivi, elaborando domande, creando un ambiente confortevole e rilassante, prestando attenzione al linguaggio verbale e non verbale, chiedendo chiarimenti con esempi concreti, registrando per poter riascoltare o rivedere la relazione, dando significati alle informazioni raccolte per trarre conclusioni pertinenti.
Durante l’approccio, le domande non erano strutturate ed è stato lasciato l’interlocutore libero di spaziare nei ricordi, ma anche nel presente. I protagonisti hanno narrato la loro vita, hanno descritto la storia di intere comunità che hanno uniformato i comportamenti ed hanno segnato l’identità territoriale, le origini e le abitudini di vita, oltre che i legami sociali.
Il lavoro compiuto è stato realizzato con l’intento di sintonizzarmi nel registro verbale dei cilentani, per poter meglio entrare nel mondo da loro conosciuto. Nonostante ciò, mi trovavo in presenza di altro da me, di persone che mi hanno osservato con sospetto, mi hanno spiegato le cose; sovente ho cercato di ricondurre il discorso nel loro linguaggio per cogliere meglio le sfumature e per mettere gli interlocutori a proprio agio.
Le storie narrate sono diverse tra loro anche se i motivi che le legano sono riconducibili ad una comune appartenenza: il racconto ha a che fare con l’espressione dei gesti e del volto, la comunicazione, il linguaggio, le locuzioni ricorrenti.
I cilentani utilizzano un percorso narrativo cercando di collocare l’interlocutore entro il loro contesto di riferimento: cominciano a raccontare qualcosa, si fermano e ritornano su alcuni temi trattati, ti osservano per comprendere se li stai seguendo, se cogli le loro parole.
Nel loro narrare si può notare una funzione didascalica, una sorta di insegnamento e di spiegazione dei fatti narrati: sono abituati a trasmettere alle nuove generazioni, ed allora gli aspetti vanno detti e chiariti, i termini vanno ripetuti, le frasi riprodotte in altro modo ed in altra sequenza. Sono consapevoli di essere gli ultimi custodi di cose che con il tempo scompaiono; partecipano attivamente alle storie che non sono da loro vissute ma solo elaborate dopo averle sentite a lungo raccontare. Anche in questo caso le loro parole ti attraggono: la loro interpretazione conferisce ancora di più al racconto, infatti quella stessa storia è spiegata secondo il loro modo di essere, secondo il loro stile.
Da quegli iniziali lavori, si sono in seguito trattati gli sviluppi attraverso una serie di ricerche che hanno riguardato le modalità di vivere il percorso festivo. Ho ritenuto infatti che la vita quotidiana e i comportamenti dell’uomo potessero meglio essere colti attraverso i momenti di socializzazione e di espressione emozionale.
La tesi da verificare era se la ritualità, che è stata sempre la principale caratteristica delle feste che si sono diffuse e consolidate con particolare rilevanza in quanto rispondono al criterio di essere vissute nelle comunità, costituisse “una connessione tra passato, presente e futuro” e fosse atta a studiare possibilità di legami tra tradizione e cambiamento.
Si trattava di agire entro l’ambito di modelli istituzionalizzati nei quali vengono attualizzate e messe in scena conoscenze e pratiche collettivamente condivise. La festa è strettamente legata alla comunità e tende a mantenere uniti i suoi membri. In passato, quando i legami erano molto forti e stretti, la tradizione considerava: calendario, abitudine, necessità di rottura del quotidiano, bisogno di communitas, ovvero tutti quegli elementi che spingono gli uomini ad aggregarsi e a vivere l’evento festivo.
Gli studi realizzati nel territorio cilentano hanno riguardato proprio le feste che, oltre alle componenti rituali, hanno considerato nuove modalità, che chiamerò sociali, di vivere il momento di aggregazione e di condivisione dell’evento festivo. E su questo aspetto intendo affermare gli studi più attuali sul territorio, per comprenderne l’identità attraverso le sue componenti evolutive. (cfr.: P. Martucci, Del Cilento e del suo Genius loci, Susil Edizioni, 2023; L. Leuzzi, P. Martucci, Identità Evolutive, Independently published, 2024)
Oggi, gli elementi costitutivi della festa sono: a) la presenza di un’esperienza interpersonale; b) la presenza di attività espressive a carattere simbolico-rituale, ludico-cerimoniale; c) la periodicità; d) la funzione socioculturale.
Il problema pare essere quello di trovare feste con un largo contesto e forme rituali che ancora resistono ma di cui occorre meglio ricercare una aggregazione, un senso comune e di appartenenza. Il rito è tale se la sua espressione è condivisa da una maggioranza di attori, non se resta confinata entro ristretti ambiti. La festa è intesa come: “momento magico-religioso per la soluzione di problemi esistenziali” (malattie, insoddisfazione); “momento di svago” (giorno di vacanza); “momento sociale” (per stabilire rapporti con gli altri).
L’approccio utilizzato per lo studio delle feste è stato quello qualitativo, descrittivo prima e poi valutativo, per ricercare le maggiori caratteristiche delle manifestazioni. È stata privilegiata la ricerca sul campo per riportare i contenuti delle stesse, inquadrare il contesto in cui si svolgono, ricercando tutte le informazioni che consentono di poter meglio individuare gli aspetti che possono spiegarle.
L’ipotesi di partenza è che le differenze si riflettono o nello spontaneismo o nell’organizzazione, nei contenuti (rituali o culturali), nelle forme e rappresentazioni sceniche. Tutto ciò senza trascurare il concorso degli attori (partecipanti o spettatori) e dell’adesione del pubblico. In sostanza, prevalgono ora alcuni aspetti ora altri, a seconda delle tipologie.
Gli indicatori di qualità costruiti hanno proprio riguardato tali ipotesi di partenza. Essi sono serviti ad attribuire dei punteggi alle varie manifestazioni, valutando le caratteristiche principali delle feste: importanza e rilievo sociale, aspetti simbolico-rituali, contenuti culturali, organizzazione e partecipazione del pubblico.
Le manifestazioni folcloristiche possono essere ricondotte entro due essenziali classificazioni: quelle legate alle forme espressive della spiritualità e quelle create e programmate entro confini organizzativi ben strutturati. Nel primo caso, rientrano le manifestazioni religiose che conservano simboli e riti di antiche origini, che sono calendarizzate e servono a festeggiare il Santo Patrono o altre espressioni di fede che si presentano. Pur legate a momenti organizzati, nelle forme di maggiore partecipazione (processioni o pellegrinaggi ai Santuari), questo tipo di manifestazioni vengono connotate di significati rituali particolari.
La seconda classificazione è quella delle feste ben organizzate che riproducono forme espressive del passato ma guardano alla programmazione per la perfetta riuscita della rappresentazione. In questo caso la manifestazione, pur ospitando personaggi legati alle tradizioni ed ai simboli del passato, non sono legate allo spontaneismo, alla rottura di schemi prestabiliti, ai momenti non ritualizzati.
Le forme contemporanee legate alla condivisione degli eventi sembrano portare al riadattamento dei saperi e delle pratiche tradizionali alle differenti sensibilità prodotte nella società in trasformazione. Tale ripensamento viene comunque orientato da valori culturali e sociali che nascono e si sviluppano all’interno di comunità che costituiscono il riferimento costante della festa. (D. Boriati, Antropologie delle feste. La ritualità nelle feste tra località e globalità, Nuovo Meridionalismo, Anno III – n. 5/Ottobre 2017)
Si avverte il passaggio dalle feste di una comunità compatta e omogenea, a forme differenti di vivere l’evento. Alcuni hanno parlato di rivitalizzazione, intesa sia come mutamento che recupero dei rituali, inventando nuove celebrazioni e permettendo cambiamenti negli eventi e nei soggetti coinvolti, pur mantenendo significati riconducibili al contesto e alla cultura di riferimento. Ed allora, organizzatori e attori, allestendo manifestazioni e facendo rivivere personaggi, usi e tradizioni locali, sono coinvolti in azioni associative, nell’ingresso e, talvolta, nella costruzione di veri e propri sistemi sociali che rispondono evidentemente a un profondo bisogno di aggregazione in vista della riproduzione del sistema socio-culturale.
Tutti i partecipanti alla festa, a seconda del ruolo assunto, che può anche essere quello di semplici spettatori, ricavano, sebbene in misura diversa, il beneficio del recupero organizzativo di quel disordine creato dalla complessità sociale in cui si trovano a vivere. (R. Grimaldi, A. Saracco, Sociologia della festa: il piacere di stare insieme, IRIS Uni Torino, Editrice Omnia, 2021; G. L. Bravo, Festa contadina e società complessa, FrancoAngeli, 1984; F. Giallombardo, Festa, orgia e società, Flaccovio, 1990; P. Clemente, F. Mugnaini, Oltre il folklore, Carocci, 2001)
Da questo quadro, emerge una nuova modalità, che intendo sociologica, di considerare le manifestazioni che si svolgono oggi nel territorio: attraverso riscontri sul campo, spesso ho osservato alcuni contenuti che superavano quelli tradizionali, le forme antiche di concepire il vivere l’evento festivo in una comunità.
Gli elementi che caratterizzano le feste attuali non possono prescindere dal turismo culturale, in quanto il territorio conosce questa possibilità/opportunità. Lo sviluppo del Parco Nazionale del Cilento, Alburni e Vallo di Diano consente una maggiore divulgazione delle informazioni riguardanti le risorse storico architettoniche e artistico-culturali del territorio. Vi è poi il maggiore riscontro territoriale dovuto alla pubblicizzazione di tante località, che si sono affermate soprattutto per la qualità delle acque delle loro coste, favorito dalla diffusione della dieta mediterranea ben oltre i confini di un territorio che, per decenni, è stato il maggior depositario di prodotti tipici e di una alimentazione sana.
Di conseguenza, il quesito da porsi è se questi fattori possano portare a vivere il territorio in maniera più adeguata, nonostante continui inesorabile il fenomeno della migrazione territoriale verso aree più ricche. Occorre però agire sulla conoscenza e gestione delle risorse culturali. Il processo/obiettivo è quello di formulare delle ipotesi di lavoro da verificare e puntualizzare nel tempo: la capacità di lettura e d’interpretazione del passato sono i due elementi da considerare, sempre che riescano a coniugare la “memoria” al “divenire progettuale”. (P. Martucci, Culture Immateriali, Independently published, 2025)
Sull’affermazione di un turismo culturale che possa essere valorizzato dalle tante risorse culturali materiali e immateriali del Cilento, credo si possa intendere una nuova modalità di svolgere ricerca e contribuire a trovare gli strumenti anche economici per permettere un salto di qualità.
Ho trovato dunque interessante osservare i cambiamenti che hanno riguardato lo sviluppo delle feste, da quelle tradizionali a quelle più attuali, sagre di prodotti tipici comprese, che presuppongono modalità comportamentali differenti rispetto al passato. Negli ultimi anni, infatti, ho ritenuto che proprio le espressioni festive potessero offrire la possibilità di determinare le identità evolutive di un territorio che oggi va certamente colto attraverso dinamiche più attuali.
Chiedersi come si sono modificate le modalità di vivere i rapporti umani nell’ambito dei momenti festivi, ovvero comprendere come cambiano le forme espressive e le stesse modalità di vivere la comunità, ancora premette alla ricerca qualitativa di avere senso, soprattutto se si seguono le indicazioni legate al rigore, alla documentazione, ad un approccio critico e soprattutto alla passione del ricercatore di confrontarsi senza pregiudizi all’oggetto del suo lavoro: lo studio di un territorio e dei cambiamenti che certamente sono sempre più presenti nell’evoluzione del tempo.
Oggi l’idea è di cercare di immergersi nella società per definire le prospettive. Il compito è arduo perché include le forme di vita attuali che certamente hanno a che fare con le tendenze globali e con l’avvento della tecnologia. La vita precaria e le tendenze all’abbandono sono ambiti di ricerca che vanno approfonditi, per definire le dinamiche che si producono con rapidità e che vanno certamente considerate individuando possibili scenari che vedono al centro il ruolo dei giovani e la loro esigenza di vivere la dimensione comunitaria. Quest’ultima è presente nella vita quotidiana e deve essere affermata attraverso un’idea di azione che si confronta con l’altro diverso da noi che tuttavia connota un “esser-ci”, aggrega possibilità di vita, intende un progetto che si sviluppa nel territorio.
I territori sono ambiti di studio che intersecano varie discipline e considerano i fattori che si rivolgono alla valorizzazione e alla esigenza di intendere la vita quotidiana come opportunità di crescita e sviluppo. Credo che non occorra attendere, ma essere promotori di una tendenza ad essere soggetti attivi in una condizione umana che va ripensata tenendo conto di ambiente, risorse e potenzialità presenti in un’area che ha ancora molto da dire e da affermare nonostante l’incessante scorrere del tempo e degli eventi.
Nei prossimi scritti mi soffermerò sulle tendenze delle attuali società e il rapporto con il territorio.
Lodevole l’impegno del sociologo militante dott.Pasquale Martucci che approfondisce i campi mutevoli dell’esserci delle antiche terre del Cilento attraverso le ritualita’ delle feste religiose e delle proposte di alcune comunità di riattualizzare modalità conviviali del passato.
Non è da meno l’attenzione a cogliere elementi di transazione evolutiva con gli strumenti della partecipazione attiva e della condivisione di esperienze personali e di rete che si offrano come indicatori di identità e cambiamento nella glocalizzazione.
Le identità evolutive costituiscono inoltre temi di ricerca e di cooperazione che condividiamo con empatia e dedizione .
Complimenti ed un caro saluto
Grazie per le riflessioni
Credo che l’evoluzione e le trasformazioni del modo di vivere la Religiosita’ siano strettamente connesse a quelle dell’Identita’
La dimensione religiosa delle comunità certamente fa parte di quel Genius loci che insieme ad altre dinamiche sociali, che si sviluppano intorno a comuni valori, costituiscono l’identità. Essa ben inteso si evolve insieme ai cambiamenti delle società.