Qualche riflessione sul cambiamento di prospettiva e sul ruolo della tecnologia.
Il fenomeno “migrazioni” è di stretta attualità e va studiato in rapporto al territorio e alle scarse opportunità offerte alla popolazione soprattutto in termini di occasioni di lavoro.
Un volume collettivo (A. Membretti, S. Leone, S. Lucatelli, D. Storti, G. Urso, a cura di, Voglia di restare. Indagine sui giovani nell’Italia dei paesi, Donzelli, 2023) si è occupato della possibilità di “ri-abitare” le aree marginali del Paese, considerando “disuguaglianze territoriali e “squilibri demografici. La ricerca: “Riabitare l’Italia” ha coinvolto 3.000 giovani tra i 18 e i 39 anni, ed è stata realizzata per comprendere le dinamiche e le sfide che emergono in luoghi oggi spopolati, al fine di favorire il sentimento di “restanza” e di “attrattività”.
È importante attuare politiche di inclusione sociale, economica e culturale per porre al centro il capitale umano, in quanto i paesi marginali oggi vedono l’assenza soprattutto dei giovani che cercano altrove di realizzare i propri sogni, lasciando le comunità svuotate e smarrite rispetto alle sfide del futuro. Si tratta di un problema urgente che deve coinvolgere amministratori e università, governo centrale e regionale, attraverso una nuova visione che si rivolga allo spopolamento e alla riqualificazione dei piccoli centri, attraverso politiche di istruzione/formazione, servizi, investimenti per ridare un senso alla vita dei paesi ed educare ad abitare i luoghi che custodiscono la memoria e ne conservano le tracce.
Ciò che spinge i giovani ad andare “altrove” rispetto alle loro origini è legato alle opportunità. Tutte le ricerche rilevano che 9 giovani su 10 ritengono che all’estero possano avere una maggiore valorizzazione e un più elevato livello di responsabilità lavorativa, anche se molti resterebbero per legami affettivi, culturali, relazionali. Di conseguenza, se si realizzassero le occasioni anche nei piccoli centri, molti accetterebbero di restare.
Gli studi sull’emergenza migratoria si soffermano sulla possibilità della restanza, che nasce e matura in chi consapevolmente rimane o ritorna nei territori d’origine, nonostante le difficoltà, la carenza di servizi essenziali e l’impoverimento produttivo. La restanza è certamente da intendere come “un sentimento attivo che si nutre e si alimenta dei progetti nuovi e delle aspirazioni ambiziose di chi sceglie di intraprendere questa via”. (I. Tirelli, I giovani e quel “desiderio di restanza” contro spopolamento e marginalità, Eurispes, https://www.leurispes.it/, 24 febbraio 2025)
Non si tratta però solo di desiderio, ma di attuare intenti progettuali, basati su investimenti e su un cambio di paradigma socio-economico che garantisca opportunità di lavoro, servizi e tutele, che pongano al centro l’attrattività dei luoghi e le risorse locali. È fondamentale ridisegnare politiche giovanili che coinvolgano le amministrazioni locali in settori come servizi pubblici e cultura del territorio.
Nella ricerca: “Riabitare l’Italia”, si dà voce ai protagonisti che intendono adottare un modello di vita e di lavoro più sostenibile a contatto con la natura. Sembrerebbe coinvolgere un numero sempre maggiore di giovani, professionalmente formati, con un’istruzione eccellente, che terminati gli studi decidono di abbandonare la città per tornare in luoghi marginali. Tra le motivazioni: instaurare legami con la comunità; vivere in un ambiente sano per un maggiore benessere fisico; abbandonare la frenetica vita urbana per scoprire la lentezza; abbracciare una cultura rurale come quella dei propri nonni.
La voglia di radicamento e la riscoperta delle usanze locali può evidentemente rappresentare un’opportunità di rilancio per le aree più fragili, coniugando tradizione e innovazione, stimolando l’imprenditorialità del territorio.
Altri ed interessanti studi rilevano il fenomeno dell’emigrazione all’estero (R. Rega, Emigrazione degli italiani, quasi uno su dieci è residente all’estero, Eurispes, https://www.leurispes.it/, 13 gennaio 2025).
Se l’emigrazione è raccontata quasi unicamente come un punto di approdo in Italia da parte degli stranieri, spesso si ignorano i fenomeni migratori che riguardano gli italiani che migrano altrove. Sappiamo che tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento più di 5 milioni di italiani sono emigrati: solo dal 1876 al 1900, la metà si recò in Francia, Svizzera, Germania e Austria, mentre un’altra metà cercò fortuna in Paesi come Stati Uniti, Argentina e Brasile. Anche nel dopoguerra i flussi migratori italiani segnarono un nuovo considerevole aumento.
Si tratta dunque di una storia segnata dall’emigrazione: se un tempo avveniva per ragioni dettate da miseria, disoccupazione, mancanza di prospettive, oggi ci troviamo di fronte a un fenomeno che continua ad interessare le dinamiche sociali ed economiche della nostra realtà.
Osservando i dati riportati da Eurispes, l’AIRE (anagrafe degli italiani residenti all’estero) nel 2024 rileva che più di 6 milioni di italiani (6.134.100), ovvero quasi 1 italiano su 10, ha residenza all’estero, o almeno è iscritto all’AIRE. Dai dati diffusi dall’Istat e risalenti al 2022, si evince solo il 31% degli italiani residenti all’estero è nato in Italia.
Il Rapporto Italiani nel Mondo 2024, della fondazione Migrantes (Cei), pone l’accento sulla componente demografica degli italiani all’estero: il 23,2% di chi risiede all’estero ha tra i 35 e i 49 anni; il 21,7% ha 18-34 anni e il 19,5% ha tra i 50 e i 64 anni. Il 14,6% di chi è all’estero è minorenne, mentre gli anziani sono il 21%. Nel 2023, il 45,5% del totale iscritti all’AIRE ha tra i 18 e i 34 anni e un 23,3% tra i 35 e i 49 anni, evidenziando una esigenza migratoria legata alle opportunità lavorative in quanto si tratta di una fascia di popolazione attiva. Espatriano dunque soprattutto gli italiani con età compresa tra i 20 e i 39 anni, mentre rimpatriano soprattutto gli over 40 e over 65
Il Rapporto Italiani nel Mondo 2024 evidenzia anche i dati sull’emigrazione interna italiana, un fenomeno di cui si parla spesso ma per il quale si fa molto poco, e che si collega ai fenomeni di spopolamento e depauperamento di aree interne o depresse, private ancora di più di popolazione e forza lavoro. Dai dati emerge che, su 2 milioni di trasferimenti annuali complessivi, i 3/4 riguardano movimenti tra Comuni italiani: 6/10 avvengono all’interno della stessa provincia, 1/10 all’interno della stessa regione e 3/10 verso un’altra regione.
Tra questi ultimi, oltre un terzo coinvolge i movimenti che dal Mezzogiorno si dirigono verso il Centro-Nord, e riguardano soprattutto i giovani, ovvero i principali attori del mercato del lavoro. Tra il 2013 e il 2022, il Nord e il Centro hanno raccolto rispettivamente oltre 125 mila e oltre 13 mila giovani risorse umane provenienti dal Mezzogiorno. Nello stesso tempo, la perdita complessiva di giovani laureati nella classe di età 25-34 anni a favore dell’estero è nel Nord di circa 43mila unità, nel Centro è di 14mila unità, segnando quindi un saldo positivo per il Nord di circa 82mila unità tra uscite ed entrate. Le uscite dal Mezzogiorno verso l’estero e verso le altre regioni d’Italia, invece, determinano una perdita complessiva di circa 168mila giovani residenti laureati, che non viene compensata da movimenti in entrata. (R. Rega, Emigrazione degli italiani, quasi uno su dieci è residente all’estero, https://www.leurispes.it/, 13 gennaio 2025)
L’Almalaurea, nel Rapporto sulla Mobilità Territoriale (2023) rileva che la percentuale di laureati di primo livello che a 5 anni dalla laurea si sono trasferiti per lavoro è del 46% al Sud Italia e del 6% al Nord. Un distacco di 40 punti percentuali che descrive la ricchezza, in termini di risorse umane, che il Sud perde ogni anno per mancanza di opportunità lavorative per i propri giovani.
Da questi riscontri si può certamente sostenere il fenomeno del depauperamento del territorio e l’abbandono che oggi diventa questione sempre più drammatica.
Qualche considerazione che fa ben sperare è il ruolo della tecnologia che può tracciare alcune opportunità. Negli ultimi anni si sta diffondendo la propensione a considerare il lavoro dei “nomadi digitali”, freelance o impiegati che scelgono di lavorare da remoto senza vincoli di spazio. Il nomadismo digitale costituisce il risultato di un processo di trasformazione tecnologica: il 52% di tali lavoratori si definisce dipendente o collaboratore di aziende, mentre il 38% svolge un lavoro autonomo. (Eurispes, Nomadi digitali, evoluzione in grado di generare opportunità di crescita, https://www.leurispes.it/, 12 febbraio 2024)
Si tratta di un processo evolutivo delle dinamiche lavorative che ha trovato rilievo nel mondo globale ed è soprattutto di tipo ibrido: secondo le previsioni di AT&T questa forma di lavoro conoscerà una crescita del +39%. La motivazione è anche dovuta alla necessità di vivere ampiamente il proprio tempo di vita, di dare qualità alle giornate oltre al lavoro. Secondo i dati del Work Index Trend di Microsoft, in uno studio condotto nel 2022 in 31 Paesi tra cui l’Italia il 53% dei lavoratori è disposto ad anteporre la propria salute e il proprio benessere al lavoro.
L’ultimo Work Index Trend del 2023, ha invece preso in esame le ricadute dell’IA sul mondo del lavoro, ponendo l’attenzione verso le condizioni e i carichi di lavoro. Se il 42% degli Italiani dichiara di temere che l’AI sostituisca il proprio lavoro, il 62% afferma di voler delegare più lavoro possibile all’AI per ridurre il proprio carico.
Il “Secondo Rapporto sul Nomadismo Digitale in Italia”, promosso dall’Associazione Italiana Nomadi Digitali e da Airbnb, rileva che i protagonisti del fenomeno del nomadismo digitale in Italia sono lavoratori (35%) tra i 35 e i 44 anni; a seguire giovani tra i 25 e i 34 anni; invece è minore la percentuale di nomadi digitali over 45 (15%), con meno di 24 anni (10%) o over 55 (5%). La distribuzione per genere nel nostro Paese mostra uno sbilanciamento per le donne (54%, contro il 45% di uomini), in opposizione alle tendenze globali, dove più uomini (59%) scelgono di diventare nomadi digitali rispetto alle donne (41%). Il 52% dei nomadi digitali si definisce dipendente o collaboratore di aziende, mentre il 38% svolge un lavoro autonomo. In Italia appartengono a settori caratterizzati da alto valore aggiunto, come quello della comunicazione e del marketing (27%), della formazione (14%) e dell’informatica (13%). Su base globale, i nomadi digitali dichiarano di avere competenze tecnologiche elevate: il 77% utilizza la tecnologia per essere più competitivo nel proprio lavoro, contro il 41% di coloro che non sono nomadi digitali. (Eurispes, Nomadi digitali, cit.)
Nella scelta di una destinazione per lavorare da remoto, le variabili discriminanti risultano essere una buona connessione a Internet, il bel tempo, il basso costo della vita, le attrazioni locali. I remote worker italiani e stranieri, intervistati nel “Secondo Rapporto sul Nomadismo Digitale in Italia”, hanno dichiarato di essere interessanti a vivere la propria esperienza di nomadismo digitale in Italia (93%). Ad attrarli sono soprattutto il Sud (25%) e le Isole (18%), le località balneari (61%), il contatto con la natura (41%), le città d’arte (39%); risultano meno attrattive le località di montagna (22%) e quelle di collina o entroterra (12%). Ad influenzare la scelta finale della destinazione intervengono, anche in Italia, la qualità della connessione Internet (65%), il costo della vita (61%), le attività culturali (40%). Non costituisce un elemento influente nella scelta la stagione: il 42% dei nomadi digitali viaggerebbe in Italia durante tutto l’anno, confermando la significativa opportunità di questo fenomeno nella destagionalizzazione dei flussi turistici.
Come emerso anche nel “Terzo Rapporto sul Nomadismo Digitale in Italia”, l’Italia si candida come meta dei nomadi digitali in molte aree interne e rurali a rischio di spopolamento, nei piccoli comuni e borghi che troverebbero nel nomadismo digitale una chiave di crescita economica e culturale. Ciò si scontra, come sottolinea il Rapporto, con una serie di mancanze a livello normativo, in grado, ad esempio, di favorire contratti di locazione temporanea. Emerge l’esigenza di istituire nel nostro Paese la figura del “Residente Temporaneo di Comunità”, con tutti gli snellimenti burocratici del caso. Si tratterebbe di una svolta normativa in grado di aprire orizzonti di crescita e miglioramento a numerosi borghi e cittadine italiane che oggi rischiano di scomparire. (Eurispes, Nomadi digitali, cit.)
Uno studio interessante, anch’esso riportato da Eurispes (A. Lo Sardo, South working, quando la montagna va da Maometto, Redazione Eurispes, https://www.leurispes.it/, 20 Dicembre 2021), è quello del south working, un fenomeno che ricalca lo smart working e indica il trasferimento, il ritorno a casa, lo spostamento di lavoratori meridionali dalle città del Nord al Sud. Potrebbe essere una possibilità concreta per il Mezzogiorno, costantemente provato dall’emigrazione e dallo spopolamento.
Sarebbero oltre 100.000 i lavoratori coinvolti nel south working nel corso del 2020 (uno studio condotto da “Datamining” per conto dello Svimez), grazie all’emergenza sanitaria che ha spinto moltissime aziende a considerare seriamente l’eventualità di rendere lo smart working una costante nei propri processi organizzativi. Dal canto loro, tanti lavoratori fuorisede hanno colto l’occasione del lavoro da remoto per rientrare nelle città di origine, conciliando la propria attività con la vicinanza degli affetti e della famiglia.
Opportunamente “accompagnato”, il fenomeno del south working potrebbe, dunque, costituire una vera e propria rivoluzione nel mondo del lavoro e un importante strumento per abbattere le disparità tra Nord e Sud, di cui beneficerebbero sia le imprese sia i lavoratori per fattori legati a: flessibilità nella gestione degli orari di lavoro; riduzione dei costi (affitti degli uffici, buoni pasto, mense aziendali); motivazione del personale e maggiore produttività; miglioramento delle competenze digitali dei lavoratori; riduzione degli straordinari e dei fenomeni di assenteismo.
Al di là dei risparmi e della riduzione dei costi, questa modalità potrebbe incidere sulla qualità della vita: maggiore vicinanza agli affetti e alle proprie radici, oltre alla possibilità di scegliere il luogo in cui vivere in base a preferenze e possibilità. Ciò avrebbe delle ricadute positive sull’intera rete sociale, per esempio in termini di ripopolamento delle aree depauperate, con la presenza dei giovani in alcune realtà che farebbe inevitabilmente rifiorire l’economia locale, e anche a livello ecologico, con una riduzione degli spostamenti, per esempio a ridosso dei periodi festivi.
Ci sono comunque i problemi legati al fatto che non tutte le aree del Paese sono coperte da un’infrastruttura digitale adeguata. Qualcuno individua problematiche legate a: minore controllo sul dipendente e problemi di sicurezza informatica; isolamento sociale; disparità economiche, poiché occorrono dotazioni tecnologiche; diminuzione dello spirito di squadra; minori occasioni di crescita professionale; maggiori esternalizzazioni.
Per affrontare queste questioni si dovrebbe intervenire attraverso: incentivi di tipo fiscale e contributivo; creazione di spazi di co-working; investimenti sull’offerta di servizi alle famiglie (asili nido, tempo pieno, servizi sanitari); infrastrutture digitali diffuse in grado di colmare il gap Nord/Sud e tra aree urbane e periferiche.
Insomma, puntare sul south working può essere una scommessa vincente a patto che il cambiamento avvenga sulla base di una concertazione tra tutte le parti e che sia accompagnato dagli opportuni aggiornamenti normativi.
Il south working comunque non risolve il problema della disoccupazione giovanile al Sud, che andrebbe affrontata grazie alle risorse finanziarie comunitarie che permetterebbero di creare quella infrastrutturazione digitale capace di abbattere considerevolmente il divario Nord/Sud.
Oggi è tempo di credere ai cambiamenti che sono, innanzitutto, culturali e pretendono sempre che l’uomo agisca e trovi forme creative per pensare al proprio futuro.
Ezio Martuscelli
Sarebbe auspicabile su questo argomento organizzare un ampio dibattito con la partecipazione di esperti e studiosi afferenti a discipline e correnti di pensiero diversificate. Complimenti all’Autore che comunque ha messo in rilievo la problematica.