Questo intervento è la rielaborazione della relazione che ho svolto in occasione del Convegno sulle “Madonne Vestite”, dello scorso 17 maggio a Moio della Civitella, sui concetti di ritualità e sacro.
La storia delle comunità ha visto l’uomo vivere uno stretto rapporto tra questioni concrete e tangibili ed eventi inspiegabili, che sono stati identificati con qualcosa di incomprensibile, misterioso, un ambito che certamente riguarda il divino, il sacro, la religione e tutte le sue forme ed espressioni.
Nei secoli, nel territorio ci fu un rapporto stretto tra popolazione e religiosità, anche se le parrocchie si svilupparono senza produrre sostanziali cambiamenti se non quelli di contenere espressioni e modalità di comportamento non adeguate ai disposti della dottrina. Non si cercarono di stravolgere le antiche usanze, facendo convivere abitudini e mentalità pagane con valori e mentalità cristiane.
Esisterebbe una profonda differenza tra fede e religiosità: la prima è un atto da maturare, che trasporta verso il divino, ti precede e ti fa acquisire una profonda condizione interiore; la religiosità è naturale, una tradizione forte che fa compiere atti particolari per consolidare il rapporto con la divinità, azioni di penitenza, preghiere, invocazioni. (A. Di Rienzo, P. Martucci, intervista a don Angelo Imbriaco, Pellare, 14 aprile 2025)
Sosteneva Norberto Bobbio che l’uomo riconosce di avere dei limiti e vive il senso del mistero, comune sia all’uomo di ragione che di fede. La differenza è che l’uomo di fede si conforma a rivelazioni e verità che vengono dall’alto: “resta però questo profondo senso del mistero che ci circonda, e che è ciò che io chiamo il senso di religiosità”.
I culti religiosi sono ispirati al concetto di salvezza, la tendenza a trovare il contatto con l’assoluto al di fuori e al di sopra della realtà, in cui si afferma il mistero, quella verità soprannaturale la cui esistenza è stata comunicata all’uomo per mezzo della rivelazione divina. È conferita particolare importanza al sacro, qualcosa che va oltre la nostra comprensione in quanto, pur avendo molti limiti, abbiamo la certezza che esiste una Entità che ha la responsabilità di un mondo di cui noi non possiamo cogliere tutti gli elementi.
Fin dalle origini la Chiesa ha assimilato processioni, rituali, litanie traducendoli in eventi liturgici dalla natura ibrida per contenuto e forma, per rendere meno traumatico il passaggio dal paganesimo al cristianesimo. Nell’ambito della religiosità popolare, una concezione che riguarda la divinità, una ricchezza da proteggere, promuovere e, se necessario purificare (Papa Ratzinger), si sviluppano i culti delle divinità, le pratiche delle espressioni popolari, che significano la richiesta della loro protezione per difendere la vita quotidiana, materiale.
Di Nola (A.M. Di Nola, Gli aspetti magico-religiosi di una cultura subalterna italiana, Boringhieri, 1976) sottolineava gli elementi che contraddistinguono la religiosità popolare: a) il ringraziamento per l’intervento della Divinità contro il Male; b) la propiziazione per riporre speranze per il futuro; c) l’esaltazione della potenza del Santo; d) l’affermazione della propria presenza; e) il sacrificio e la fatica, in riferimento ai pellegrinaggi e alle processioni che durano ore.
Il pellegrinaggio è la realizzazione di una azione propiziatoria, che consenta alla divinità di agire a nostro vantaggio, e di conseguenza acquisisce rilievo utilizzare doni o sacrifici.
Hervieu-Léger intendeva la processione come controllo istituzionale, che implica per il praticante alcune funzioni: a) una pratica obbligatoria; b) una pratica regolata dall’istituzione; c) una pratica fissa; d) una pratica comunitaria; e) una pratica territoriale (stabile); f) una pratica ripetuta. (D. Hervieu-Léger, Il pellegrino e il convertito, Il Mulino, 2003)
Durante queste pratiche, la componente essenziale è la preghiera, che contribuisce a costruire l’identità culturale di una comunità fondata su valori religiosi e si caratterizza per: a) un luogo e un tempo in cui compiere l’azione; b) l’utilizzo di una serie di parole prestabilite e di riflessioni spontanee; c) l’utilizzo di espressioni e comportamenti verbali e non verbali; d) l’utilizzo del linguaggio del corpo (gli individui stanno in ginocchio, a capo chino, con le mani giunte); e) l’utilizzo di oggetti (immagini, medaglie, elementi di devozione, ex voto, rosari, candele, incensi).
I gesti rituali sono forme espressive che riflettono stimoli soprattutto emozionali, sensibili, fisiologici, che non possono essere esercitati attraverso il linguaggio parlato. Entra in gioco il linguaggio non-verbale del corpo, che attiva percezioni immaginarie ed esperienze vissute in maniera totalizzante, creando una cornice formale in grado di attenuare i mutamenti.
Émile Durkheim (Le forme elementari della vita religiosa, 1912, Morcelliana, 2020) riteneva che rituali e credenze servissero a soddisfare soprattutto necessità pratiche, morali, sociali: il rito è una pratica aggregativa, che produce senso di appartenenza ed effervescenza collettiva, per rinforzare il sentimento di identità e integrazione di un gruppo.
Il rituale in accezione religiosa è legato al sacro e si manifesta con la partecipazione (attraverso preghiere, sacrifici, consacrazione) e la propiziazione/purificazione.
Sacro, da sacer, è ciò che è connesso più o meno intimamente ad una realtà diversa (dalla profana), che riguarda la divinità o la religione con i suoi misteri ed impone un atteggiamento di riverenza e di venerazione. Rispetto al sacro, l’uomo si sente inferiore e ne subisce l’azione, restando atterrito ma anche affascinato. Sacro è ciò che è separato, altro; il sacro, avvertito come altro che si manifesta con forza misteriosa, implica rispetto, a volte spavento, ma al tempo stesso attrazione. (cfr.: Enciclopedia Treccani)
Il termine italiano “sacro” è anche ricondotto al latino arcaico sakros, che nei significati successivi indica anche ciò che è dedicato al culto di una divinità. La radice di sakros si ritrova in un insieme di lingue estinte, che rimandano a: invocare la divinità, aderire, seguire, onorare. (Dizionario Etimologico – Julien Ries ha compiuto studi sui fenomeni religiosi: “Antropologia religiosa” e “Antropologia del sacro”)
La fenomenologia del sacro riguarda i caratteri che definiscono la cultura di una comunità. La sacralità infatti non è indipendente dal sociale, ma assume la forma di divinità, legata allo spirito o alla potenza extra-umana e si manifesta in un “luogo” (santuari, chiese, templi), in un “tempo” (feste e calendario), in “azioni” (ritualità), in “testi” pronunciati, narrati o scritti.
È una manifestazione collettiva, anche se è un incontro tra l’uomo e la divinità, in cui si realizza un processo sacro, un dono che crea un legame dinamico, un rapporto/relazione.
Rudolf Otto (Il sacro. Sull’irrazionale nell’idea del divino e il suo rapporto con il razionale, 1917, Morcelliana, 2023) rilevava una sorta di “realtà a priori” (sacro), una disposizione che sta alla base dell’esperienza religiosa, in cui il sacro ha carattere misterioso ed emozionale, una specie di forza indivisibile, onnipresente, incomprensibile, efficace, un’energia che provoca fusioni improvvise e irresistibili. Si parla anche di un processo creativo che avvicina i mondi della realtà e della possibilità.
I due mondi sono fatti di doveri, leggi, oggetti, persone, eventi, cose (realtà); l’altro è desiderio, aspirazioni, idee, sogni. Attraverso il movimento rituale si travalicano i confini del reale, che sono ristretti, e si percorre la via del “sacrum-facere”, del sacrificio, del rendere sacro, che permette di fondere i due mondi.
Il rito ha dunque a che fare con il “sacrum-facere”, ovvero sacrificare, sublimare e realizzare il passaggio trasformazionale di azioni concrete in altre eteree e spirituali, immaginarie. Sacro è una situazione in cui un nucleo emotivo viene invocato, realizzando un’azione che agendo nel mondo reale lo riempie di significati simbolici.
Faccio una digressione sul concetto di homo sacer (uomo sacro) di Agamben. Anche se il riferimento è all’umano, esso riguarda una vita “sacra” che non può essere sacrificata ed è esplicitata nel concetto di sacratio (consacrazione). Il filosofo lo colloca tra dentro e fuori, inclusione ed esclusione, è nel mezzo: “l’homo sacer appartiene al Dio nella forma dell’insacrabilità ed è incluso in una vita sacra”. (G. Agamben, Homo sacer, Quodlibet, 2018)
Sosteneva Eliade, che il sacro è un dato strutturale della coscienza umana, il fondamento della vita che segna il rapporto dell’uomo con l’universo, anche se occorre affrontare una serie di difficoltà nel passaggio “dal profano al sacro, dall’effimero all’eternità, dalla morte alla vita, dall’uomo alla divinità”. (M. Eliade, “Il mito dell’eterno ritorno”, Borla, 2007, p. 27)
Se l’esperienza del “sacro” è il cuore di tutte le religioni, per Eliade il sacro è “struttura della coscienza” e la sua esperienza è legata “allo sforzo dell’uomo per costruire un mondo che abbia un significato”. E ciò perché l’uomo ha dovuto scontrarsi concretamente con la cruda realtà della vita, affrontando l’esperienza tragica del dolore, visto come la volontà della divinità, oppure frutto di una azione negativa compiuta. La nascita, la morte e la resurrezione di Gesù Cristo diventa un evento unico e assoluto ma soprattutto irripetibile e imparagonabile, in cui “la società fondata sul mito e sull’eterno ripetersi dei cicli è stata sostituita e superata da una dimensione orizzontale più a contatto con Dio”. (M. Eliade, “Mito e realtà”, Borla, 1966, p. 204)
È importante che l’esperienza religiosa si inserisca nel reale, attraverso atti fisiologici fondamentali che diventano cerimonie (riti), che servono ad instaurare alcuni istituti culturali per garantire stabilità. Il riferimento è alla crisi della presenza, che consente al sistema rituale di predisporre un efficace dispositivo di ancoraggio dell’esistenza su un piano metastorico che garantisce un argine. (E. de Martino, Il mondo Magico, Bollati Boringhieri, 2017, or. 1948)
La funzione fisiologica è tipica dell’essere umano e segna la sua vita: occorre però andare oltre, liberando la presunta oggettività delle cose quotidiane. Ciò può essere fatto, entrando in contatto con il “confine”, con il “sacro”, osservando la ritualità della natura e liberandosi dalle azioni di ogni giorno, dotandole di senso magico, simbolico, rituale, immaginale, rivolgendosi all’anima che è anima mundi, una forma di devozione per la Bellezza, l’Amore, l’Universo (Papa Francesco parlava di creato).
La religione cristiana, partendo dalla mitologia greca, la forma pagana esistente al momento del trionfo del Cristianesimo, mantiene le tradizioni di un popolo che vive il proprio percorso religioso in maniera collettiva; l’introduzione degli insegnamenti cristiani ha reso questo percorso innanzitutto personale, rivoluzionando la società e destrutturando la visione mitica e archetipica, consegnando il dono fondamentale della fede, l’unica ancora di salvezza per l’uomo di fronte alle avversità della vita.
Ed allora si è affermato un sentimento socialmente condiviso che si basa sull’esperienza del sacro, che è relazione con l’universo; al contrario, la religione è un’istituzione che si forma intorno ai dogmi e alle liturgie ufficialmente imposte dalla gerarchia cattolica.
Nella Chiesa cattolica è la celebrazione di sacramenti nei vari tempi dell’anno: è la fonte della sacralità, una ritualizzazione che significa ripetizione di certi modi di comportamento. Si introducono norme prima consuetudinarie e poi fissate nei libri liturgici approvati dalla sede apostolica: è l’intero ordinamento liturgico che distribuisce la solennità calendariale delle feste, attraverso una simbologia molto forte. Prevale il senso di appartenenza comunitario, anche se per esercitare il rituale si richiede il permesso esplicito della Santa Sede. (P. E. Simeoni, Il corpo sacro. Itinerari nella durevolezza del mito, Milano: Meltemi, 2022)
Il teologo Vito Mancuso sul sacro cerca di risponde a tre interrogativi riguardanti: a) come nasce e che cos’è l’esperienza del sacro; b) di che cosa è segno; c) quali sono i suoi criteri di autenticità.
Il senso del sacro nasce quando il soggetto percepisce qualcosa di più grande in cui l’Essere è maggiore dell’Io”. L’uomo dunque deve considerare che esiste qualcosa di superiore a se stesso per far emergere il senso del sacro. Quando il soggetto percepisce qualcosa di più importante di sé, compie il movimento della religio, cioè si lega a qualcosa di più grande e percepisce una dipendenza fisica, psichica e spirituale.
Gli uomini sanno e sentono, attraverso la ragione, di essere “immersi nel mistero”. Se l’uomo ha posto qualcosa come “sacro”, l’ha fatto per scoprire, comprendere, servire, attraverso la conoscenza per mezzo della ragione, una realtà più grande di lui.
Il terzo interrogativo sul sacro riguarda l’autenticità, cioè la possibilità di distinguere quando esso è utile e quando invece è dannoso. La religione è al servizio della vita, e se la fede non è tale è vana e può essere anche dannosa.
È la sacralità della vita in quanto vita umana che si realizza perché vita libera: il massimo del rispetto è la libertà che si autodetermina, perché il senso dell’umanità è la libertà. (Mancuso)
In conclusione, la religione o le religioni non sono solo un complesso di credenze, di riti, di dogmi, ma anche di azioni umane che prendono forma e trovano una direzione nelle culture comunitarie. (U. Fabietti, Materia sacra. Corpi, oggetti, immagini, feticci nella pratica religiosa, Cortina, 2015)
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