Il prossimo 17 maggio 2025, a partire dalle ore 17:30, il Polo Museale “G. Stifano”, diretto dall’arch. Giuseppina Del Giudice, organizza l’evento: “Donne Madonne Tammorre”, con visite guidate al Museo della Civiltà Contadina e all’Antico Mulino. Presso l’antica Chiesa di San Bartolomeo ci sarà una Conferenza (ore 19:00) dal titolo: “Le Madonne Vestite”, con interventi di Luigi Scarpa, Vincenzo Merola, don Angelo Imbriaco, Pasquale Martucci. A conclusione della serata (ore 21:30), in Piazza degli Eroi si esibirà il Cantore Pellegrino in concerto, con Vincenzo Romano e Laura Paolillo.
La Santa Vergine è definita la Madre di tutti. Il suo culto ha origini antichissime, perché simbolo del sacrificio per la sua totale dedizione alla volontà di Dio: questa è la ragione della devozione che si manifesta nelle tradizionali processioni che si svolgono in vari paesi del mondo.
Per secoli le statue lignee delle “Madonne Vestite” hanno rappresentato la vicinanza dell’uomo a Dio, una sorta di congiunzione spirituale del “mondo umano” che attenua le distanze dal “sacro”.
Le statue erano in legno, alte circa un metro e mezzo, secondo l’altezza comune alle donne dell’epoca: i piedi e le mani che reggevano il Bambino o tenevano il Rosario: erano rifiniti con precisione e cura.
Le donne che se ne occupavano potevano toccarle, guardarle e accarezzarle, realizzando un “rito sacro”, tramandato di madre in figlia, da una generazione all’altra.
Le “vestitrici” si occupavano delle Madonne in occasione della festa: le addobbavano con abiti sontuosi, gioielli e addirittura trucco, con acconciature che a volte erano realizzate con capelli veri. Gli abiti venivano spazzolati, rammendati, ritoccati: le donne mentre cucivano pregavano, pronunciavano suppliche, chiedevano alla loro Madre di vegliare sui cari, uomini lontani o dediti al lavoro nei campi, bambini malati, anziani sofferenti, sui vivi e sui morti.
Nei giorni che precedevano la festa, la Vergine veniva tolta dalla sua vetrina sull’altare, la si poggiava sul suo piedistallo e lì avveniva il cambio del vestito: con dolcezza le si toglieva l’abito “di tutti i giorni” per porre su di loro il sontuoso broccato (utilizzato con varietà di fibre tessili, comprese le fibre metalliche) e damasco (con disegni elaborati tessuti in seta, cotone, lana e altri filati artificiali, con utilizzo occasionale di fili d’oro e d’argento). Il cambio dei vestiti richiedeva un importante lavoro da parte delle donne che, oltre a realizzare il pesante e ingombrante abito, dovevano prestare una analoga cura al Bambino in braccio, addobbato con lo stesso tessuto della Vergine.
Erano giorni di grande riservatezza, durante i quali la Madonna non poteva essere vista da nessun rappresentante di sesso maschile. Si narrava che, in molti casi, sopra la sottoveste si infilava l’abito diviso in diversi pezzi che man mano venivano composti: le maniche, la gonna e il corpetto. Una volta completata la vestizione, l’attenzione andava rivolta all’abito smesso, che doveva essere riposto con estrema cura e preservato da tarme, umidità, muffa e roditori.
Le “Madonne Vestite” nel Cilento ricalcano, ma non sempre, le sembianze della Vergine del Rosario. A San Mauro Cilento e San Teodoro (Serramezzana) è rappresentata anche l’Addolorata con questa tecnica e, sempre a San Teodoro, anche Santa Filomena.
Ad ottobre sono molte le comunità che festeggiano la Madonna del Rosario tra la prima e la seconda domenica del mese: a Gioi, la prima domenica di ottobre si simula l’incendio al campanile, mentre a Perdifumo, contrariamente all’usanza, il martedì di Pentecoste la Madonna del Rosario è portata in processione su un trono a forma di barca. In altri paesi, si festeggia in maggio (Casigliano).
Nell’antica Chiesa di San Bartolomeo Apostolo di Pellare, si conserva la statua seicentesca della Madonna del Rosario, un esempio di “Madonna Vestita”. Oggi, come rileva il parroco don Angelo Imbriaco, la Madonna ha una struttura/scheletro in legno, con corone in argento, capelli veri e due abiti, attribuita a Giacomo Colombo (Este, 1663 – Napoli, 1731) da Caterina Cammarano che ha trovato similitudini con altre statue dell’artista. La Cammarano nel 2018 ha restaurato il volto, le mani e i capelli, attraverso un lavoro di tipo conservativo.
Quando nei primi decenni del novecento si mettevano da parte le vecchie statue, questa fu conservata in una casa privata e custodita con devozione. Ora si trova nella chiesa, dopo il completamento del lavoro di restauro: l’abito indossato è ottocentesco.
Nel Concilio di Trento vennero introdotte rigide prescrizioni sulle modalità di culto per indirizzare i fedeli in direzione della fede: se c’è “una concezione artistica sostanzialmente popolare”, l’arte secondo questa visione deve essere ortodossa e stereotipata. Si producono immagini sacre con il più alto grado di verosimiglianza, ed allora i simulacri sono già dotati di abiti.
Nei secoli però ci sono modalità di culto personalizzate che rischiano di sfuggire al controllo dei poteri centrali. Ed allora, agli inizi del novecento, per volere di Papa Pio X, questa pratica fu ritenuta “troppo umana”, perché si instaurava una profonda intimità tra Madonna e popolazione: era intesa come un rito di superstizione che assomigliava al paganesimo.
I vescovi nel rispetto della decisione del papa iniziarono a percorrere il territorio alla ricerca di quelle statue, che vennero bruciate: molti preti le nascosero nelle soffitte delle sagrestie o in piccole chiese poste in zone periferiche del territorio. Alcune di esse sono state abbandonate in angoli nascosti delle sagrestie, in armadi delle chiese, oppure gettate via.
In alcune comunità, i parroci per non urtare la sensibilità dei fedeli trovavano dei compromessi: da un lato dialogavano con la popolazione e dall’altro cercavano di non alterare i precetti vescovili che a volte erano definiti tramite proibizioni e chiusure.
Le “Madonne Vestite” costituiscono una preziosa testimonianza sul piano storico/artistico e significati sociali, comunitari, antropologici, una sorta di antropologia dei patrimoni culturali.
La percezione del rituale è legata a due aspetti antitetici: la teatralità da un lato, la riservatezza dall’altro. Si tratta di rilevare: una pratica pubblica, riguardante la comunità, le processioni, la partecipazione sociale, lo scenario/contesto; una pratica privata, in cui prevale il ruolo femminile, la gestualità, la segretezza, i silenzi, l’intimità.
La vestizione era segreta, con tutti i simboli e le funzioni dell’abbigliamento sacro. Il rapporto tra divinità e popolo comporta devozione: si realizza una immagine della divinità fatta di visioni/apparizioni, corpo santo/contatto tra popolazione e divino.
L’interiorità della Vergine appartiene all’universo femminile: è il concetto di verginità delle donne come valore culturale. La donna partiva da questo valore per sancire l’accesso ai passaggi segreti legati a sessualità, fecondità, coabitazione: la definizione del ruolo femminile si manifesta proprio attraverso la devozione/rispetto nei confronti della Madonna/Regina.
Le donne sono al servizio della Vergine, vi dedicano tutte se stesse, l’accudiscono ed entrano in contatto con il sacro. Vestire la Madonna è mostrare la sua potenza.
Osservando tutto ciò si ha una visione d’insieme di devozione, gesti, riti, che partono a un culto domestico e si rivolgono al pubblico, alle celebrazioni collettive, perché quella statua è un contenitore concreto su cui si proiettano aspirazioni, aspettative, esigenze.
Le “Madonne Vestite” rappresentano una tradizione a rischio scomparsa: per questo, attraverso la documentazione storica, la memoria/racconto, la stessa agiografia/leggende, è necessario attivare un processo di patrimonializzazione, recuperando effigi e ripristinando culti che fanno parte del nostro Patrimonio Culturale Immateriale.
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